D. Giunio Giovenale
O meglio Decimus Junuis Juvenalis, nacque ad Aquino il 55 d.C., fu adottato poi da un ricco liberto e sembra anche ricoperto cariche pubbliche in questa città. A Roma, città del benessere, del “consumismo” e dello sfarzo, scrisse le sedici satire per cui è famoso, praticamente un’invettiva contro la mancanza di valori nella società opulenta romana e contro la corruzione dilagante ad ogni livello. Delle sedici satire la più nota è la sesta e costituisce un attacco veemente contro i vizi delle donne, tutte corrotte, nobili o di umili origini che siano. E’ anche la satira che ha fatto passare alla storia la moglie dell’Imperatore Claudio, la celeberrima Messalina, ormai, per “merito” di Giovenale, per tutti esempio di donna dissoluta e depravata.
Tra le altre satire, le più “illuminanti” circa il clima dell’epoca, sono la prima in cui il poeta afferma che la corruzione dilagante lo spinge a scrivere, e che per evitare le più che certe reazioni violente degli uomini del suo tempo, parlerà dell’immoralità dei tempi passati; la terza in cui parla dell’Umbricio, suo amico, costretto ad allontanarsi da Roma perché non resiste allo spettacolo dei vizi che la inquinano.
La quinta sferzante satira contro la cortigianeria e lo stupido uso del potere in cui narra la storia di un grosso rombo che si fa pescare per essere offerto a Domiziano che convoca un consiglio di militari per decidere in che modo cuocerlo; la settima in cui depreca la triste condizione dei letterati; l’ottava in cui afferma che l’unica vera nobiltà è quella dell’anima; la dodicesima, in cui si scaglia contro chi cerca la ricchezza ad ogni costo, in questo caso attraverso la “caccia” ai testamenti; la tredicesima in cui consola l’amico Calvino che, fiducioso, ha prestato denaro che poi non gli è stato restituito; la quattordicesima in cui tratta della responsabilità dei genitori nell’educazione dei figli, da attuarsi non con l’imposizione, ma soprattutto tramite l’esempio; la quindicesima in cui attacca le superstizioni religiose.
Non c’è bisogno di rimarcare la profonda analogia con il clima morale di oggi, ne c’è da meravigliarsi che dando fastidio ai potenti, qualcuno di questi ultimi non abbia perdonato gli attacchi che non risparmiarono, come s’è visto, nemmeno i personaggi della famiglia imperiale. Sembra infatti che sia morto in esilio molto lontano da Roma, tra il 135 ed il 140 d.C., quindi più che ottuagenario.Del nostro poeta sono i celeberrimi detti che vanno dall’ottimistica “mens sana in corporae sano” agli amari “set quis custodiet ipsos custodes ?” e “panem et circences” di cui si accontenterebbero tanti uomini non desiderosi d’altro, secondo lui, che di mangiare e divertirsi.