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RUBRICA ALLA SCOPERTA DI CAPRANICA: PIAZZA DELLA TARTARUGA

7 Febbraio 2020

Piazza della Tartaruga. Dominata dalla massa incombente dell’abside di Santa Maria, la piccola piazza della Tartaruga quasi non esiste. A fatica si riesce a dare una fisionomia, una identità a questo slargo irregolare, una conca inclinata verso un lato, dove le  vecchie casette declinano come sopraffatte dalle alte mura delle costruzioni sorte lungo la via principale del paese. Eppure questo spazio solitario con tutta probabilità una volta costituiva il centro ideale, la piazza rumorosa di quello che noi chiamiamo ancora Castrovecchio, e nei documenti polverosi degli archivi conosciuto come Castrum Vetulum Capralice.  Si accede da vicolo delle Casacce, da Vicolo San Vincenzo (a vaschia), e da vicolo Forno da piedi che si apre di fronte alla chiesa di San Pietro oppure da vicolo Santa Maria. La costruzione della chiesa (avvenuta intorno al 1103 una prima volta e poi ricostruita ex novo più grande nel 1866-86),  ha sicuramente stravolto quello che era l’assetto primitivo della piazza e dintorni. Oggi ancora possiamo ritrovare tracce delle prime opere difensive che delimitavano il piccolo borgo nelle due porte urbiche che danno accesso all’area, una a est verso la Via Romana e l’altra a sud che si apre su vicolo di Santa Maria. Le mura perimetrali, sempre costituite di case-torri, dovevano risalire vicolo San Vincenzo e continuare nell’altro versante in vicolo del Tulipano (l’arco ‘i Tufi) o in vicolo del Pastore più a monte. I muri lungo questo percorso infatti rivelano qua e là molti segni e rimasugli di opere più antiche (volte di archi, finestre e porte murate, struttura a scarpata, resti di profferli…) rimaneggiate abbondantemente nei secoli successivi. Anche i nomi dei vicoli sembra vogliano dirci qualcosa di un passato che non siamo più in grado di ricordare o di capire. A cosa allude “la tartaruga”?, un gioco di ragazzini, un soprannome di qualcuno poco attraente?… non lo sappiamo. Vicolo Forno da piedi, si comprende bene. Si tratta del forno forse più antico della primitiva comunità. Vicolo San Vincenzo si capisce perché nel vicino oratorio sotto la chiesa si riuniva la confraternita omonima che operava a sollievo dei poveri di un tempo. Vicolo della Tramontana, come lo spieghi? Forse un indizio (a rovescio) è dato dal fatto che il grazioso vicoletto che scende fino al bordo della rupe dalla parte della via Romana, offrendo uno scenario luminoso straordinario nella sua semplicità, è assolutamente risparmiato, per la sua posizione, dalla tramontana, che imperversa invece sulle rupi che guardano la Via Cassia. È probabile che quando il gelido ventaccio investiva le povere case, un rifugio sicuro poteva essere benissimo trovato in questo angolo “a petturina”, inondato dal sole (come la rosarella). E allora,” Vicolo dove ci si ritrova quando tira tramontana!” Qui forse nei giorni di tramontana tagliente si riunivano i nostri antenati, le donne soprattutto, sempre indaffarate a sferruzzare o dipanare le matasse di lino e di canapa, mentre “i munelli, come al solito, scorrazzavano a piedi nudi sulla piazza sassosa, lanciando fischi e ammiccamenti alle “fiarelle assennite” tutte prese ad ascoltare trasognate le leggende paurose dei briganti di Campo Spinella o le imprese mirabolanti di Orlando e dei suoi paladini o le più simpatiche pastocchie di Caramucciolello o quella d’e gattarelle, raccontate dalle nonne con voce rasserenante e persuasiva.

 

Si ringrazia Antonio Sarnacchioli.