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RUBRICA ALLA SCOPERTA DI CAPRANICA: IL CAMPANILE DI SAN GIOVANNI

29 Maggio 2020

Un dito puntato verso il cielo.

A che serve un campanile? È curioso, ma se ci riflettiamo un attimo con calma, sorge la domanda. Si tratta di una torre possente, di altezza rispettabile che si vede da molto lontano all’intorno; non ha funzione di difesa, come la possono avere le torri del castello. Costruito in un epoca in cui la modesta popolazione di Capranica non navigava certo nella ricchezza. Eppure eccolo lì, da più di 800 anni segna la vita di tutti i giorni della nostra bella cittadina.

È nato penso, per un sussulto di orgoglio dei nostri padri che ci tenevano a dimostrare al mondo intero di essere un popolo libero (quando si dice campanilismo…), anche se piccolo e insignificante. Secondo uno storico (Serafini), fu innalzato dalle stesse maestranze che realizzarono quello della cattedrale di Sutri, consacrata nel lontano 1207 da papa Innocenzo III.

Il campanile è di stile tardo romanico, con influenze gotiche ed ha tre ordini di finestre trifore con colonnine in peperino grigio; a base quadrata è alto circa 35 metri e termina con una cuspide conica (nelle vecchie foto appare affiancata da quattro pinnacoli simili a quelli del ponte dell’orologio, tolti forse per paura di crolli). Alla base è misurata l’altitudine di Capranica di 373 m. sul livello del mare. L’ardita torre campanaria ha subito nella sua lunga storia molte peripezie; colpito molto spesso dai fulmini come quello del 1906 che distrusse la guglia e le scale interne di legno. Allora fu installato un parafulmine e nell’ultimo restauro di qualche anno fa (in seguito ad un altro fulmine che sconquassò la palla con la banderuola con il galletto che chiama l’aurora), furono sostituite le vecchie scale di legno con delle nuove in acciaio. Anche con queste, però non è molto agevole salire al vano delle campane. Tuttavia è un’esperienza elettrizzante arrampicarsi e guardare dai finestroni il panorama intorno che si allarga sempre di più a perdita d’occhio ad ogni giravolta. Si scoprono come in un film tetti, terrazzi sconosciuti pieni di fiori e di panni stesi ad asciugare, comignoli e parabole, e poi i quartieri periferici, le Canicole, Montecucco, le case nuove, e poi le campagne lontane, i monti di Sant’Elia, le Carvelle, le macchie d’a casetta, Sutri col suo campanile gemello (quasi) e i monti della Tolfa, oltre che Vico e il Soratte. Ma giunti al sommo, tra le complicate strutture di travi di ferro, ruote e marchingegni arrugginiti, mentre il vento ti colpisce da tutti i quattro angoli e i rumori della vita giungono rarefatti e ovattati, scopri il perché di questa forte torre: le campane! Sono solo tre, poderose, di un verde smeraldo (che ricorda l’acqua arramata che si dava alle vigne) ricoperte da scritte difficili da decifrare, e fregi e immagini di San Terenziano. Tra queste cerchi la famosa campana da 3000 libre donata dal popolo capranichese nel 1466, un anno dopo la cacciata degli Anguillara. Nella corona in alto in caratteri gotici si riconosce la orgogliosa dedica: MENTE SAMTEM SPONTANEA HONOREM DEO ET PATRYE LIBERATIONE MCCCCLXVI (In lode a Dio e a perpetua memoria della spontanea liberazione della patria 1466).

Una meraviglia, un rifugio della nostra memoria sospesa tra cielo e terra! Qualche volta vale la pena essere un po’ campanilisti.

Si ringrazia Antonio Sarnacchioli.