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RUBRICA ALLA SCOPERTA DI CAPRANICA: VICOLO SETTEVENE

13 Giugno 2020

Capita a tutti di passare nei nostri percorsi abituali davanti ad una casa, un palazzo, un vicolo senza che l’ innato spirito di osservazione che è in noi mandi un qualsiasi messaggio. Finché un bel giorno, per caso o per necessità, ti trovi all’improvviso in quello stesso luogo, usuale ma anonimo, e resti meravigliato e ti chiedi: che bello! Non me n’ero mai accorto. E’ come quando hai incontrato, tra le persone note, l’amore della tua vita, e  per la prima volta ti sei accorto di lei o di lui. Mi riferisco ad un piccolo vicolo che nun sponna, subito dopo il campanile di Santa Maria a sinistra in quel di Castelvecchio. Vicolo Sette Vene. Padroni incontrastati dell’ambiente sono i gatti, comodamente adagiati sulle scalette, con lo sguardo tra il meravigliato e il minaccioso di chi vede compromessa la beata privacy. Il silenzio e la pace ti avvolgono all’istante, mentre contempli l’archetto che sembra introdurti in un’altra dimensione, in un mondo parallelo. Al di là, la luce inonda e ingentilisce le scale ornate da vasi di lunghe foglie e di fiori ed evidenzia piccole finestre, una vecchia porta, in alto una dolce immagine della Madonna che sorride al suo Bambino. Ma questo angolo di pace custodisce un segreto e un ricordo bello e straziante allo stesso momento. Tempo fa qualcuno, contemplando da vicino il grazioso angoletto del vecchio paese, notò sulla pianella di marmo che riporta il civico 6, delle parole un po’ sbiadite scritte a matita. Incuriosito ha tentato di decifrarle ed ha così scoperto con grande sorpresa che si trattava di un messaggio di saluto di uno dei soldati sardi ospitato in quella modesta casa durante il tragico periodo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

 

NON MI SCORDERO’ DI VOI,

CI RIVEDREMO PRESTO

RICORDATEVI DI ME COME PURE NOI

CI RICORDIAMO

W I SARDI W CAPRANICA

 

Queste parole semplici scarabocchiate in fretta sul marmo, fanno pensare alla gioia e all’ansia di quel giovane nel momento tanto sognato di poter ritornare finalmente alla sua amata isola, dopo infinite sofferenze e pericoli, dopo l’immenso dolore per la perdita dei suoi 17 compagni e dei tre amici capranichesi fucilati dai tedeschi nella sera di quel 17 novembre 1943. Non conosciamo il nome di quel soldato. Prima di partire ha sentito però il bisogno di ringraziare in qualche modo quella brava gente che, malgrado la povertà e l’estremo disagio del momento, ha aperto la casa e il cuore a lui e a tanti figli che una guerra scellerata teneva lontano dalle case e dagli affetti più cari.

Sarebbe bello poter proteggere quella piastrella e magari esporla in un luogo pubblico, come testimonianza per noi e per le nuove generazioni, dei valori così semplici e profondi sui quali si fonda il nostro vivere insieme.

Vicolo Sette Vene. Che vuol dire? Perché questo nome? Quali nostalgie lontane vuole evocare? Sette per gli antichi era un numero perfetto, magico: sette i giorni della settimana, sette i fatidici colli di Roma, sette i Sacramenti, sette le Virtù Teologali e Cardinali, sette le corde della mia chitarra… ma le vene? Le vene portano il sangue e quindi sono simbolo di vita, e una vena dall’anulare (si dice) porta al cuore. Forse, nel nostro caso, le sette vene sono simbolo di umanità e di gratitudine. In una parola, di amore.

 

Si ringrazia Antonio Sarnacchioli