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RUBRICA ALLA SCOPERTA DI CAPRANICA: VICOLO DEL GELSOMINO… E DINTORNI

19 Giugno 2020

Conosciuto meglio (dai vecchi) come l’arco i Tufi, perché in passato qui abitava la nota famiglia capranichese dei signori Tufi.

È nella bella stagione un angolino che conserva ancora l’antica tradizione di scendere da casa nel pomeriggio e soffermarsi, seduti suni scalò a chiacchierare e raccontare all’infinito le vicende dalla vita. Un vecchio proverbio ricorda quest’usanza ormai lontana anni luce: quant’è bella la campagna, ma più bellu è lo scalò, ci si beve, ci si magna, ci si passa l’ora ‘ncò!

Solo qui e in qualche altro raro vicolo si possono incontrare soprattutto belle signore (tutte acchittate) intente a parlamentare beatamente, magari facendo ancora qualche lavoretto a maglia con i veloci ferri. Non sono più sedute sui gradini, ma in più dignitose sedie messe bellamente a circolo per favorire la conversazione.

Poco più giù, nella piazzetta davanti a San Pietro, una azzeccata pittura murale, dove prima esisteva lo storico forno da piedi, ritrae appunto due belle nonne (in posa da matrone romane), affiancate da due giovani mamme, a scozzà a lana, operazione che impegnava le abili e callose mani, ma lasciava libero l’intelletto e soprattutto la lingua.

È vero, oggi il mondo è cambiato, ma l’incanto di questi ambienti, non più scaldati dalle nenie sommesse delle donne che dalle finestre socchiuse si udivano nella strada e dagli schiamazzi festosi dei munelli, non è cambiato affatto. Un giretto ogni tanto per gli angusti passaggi fa bene all’anima e ristora la mente: Vicolo dell’archetto, vicolo del ponticello, vicolo del grillo, vicoli e piazzette che si aprono all’improvviso davanti agli occhi, magari senza nome, in questa stagione inondate di sole e ingentilite da vasi di gerani splendenti. Si passa da zone buie ad inattese aperture sulla valle sottostante in uno spettacolo maestoso di verde e di luce, il tutto avvolto da un silenzio allucinante.

Questo è il nucleo più antico del piccolo borgo di contadini e pastori, incastellato e fortificato intorno all’anno mille. Qui le pietre parlano, a saperle ascoltare. Infatti osservando con un pizzico di attenzione i vecchi muri, si scoprono tante cose: finestrelle murate, conci ben modellati sporgenti in alto, archi cechi, grosse pietre angolari di cui si è perso il senso e la funzione, stipiti di porte sparite ecc.

Guardando soprattutto verso i tetti, quando l’ultimo sole sta per lasciare i vecchi muri, si ha l’impressione di sentire come un’eco delle risate, delle grida  e il brusio che viene da lontano.

Si ringrazia Antonio Sarnacchioli.