Storia del Comune
L’abitato di Marcellina, situato sull’estremo lembo nord?occidentale della Campagna romana a 36 Km da Roma ed a 280 metri sul livello del mare, si distende alla base della bastionata calcarea “Monte Gennaro” (m. 1271), Monte Morra (m. 1036), che con i massicci montuosi più alti di Monte Serrapopolo (m. 1180), Monte Pellecchia (m. 1368) e Monte Guardia costituiscono i Monti Lucretilì, sottogruppo meridionale dei Monti Sabini.
Il territorio del gruppo del Monte Gennaro, che costituisce il versante sud?orientale dei Monti Lucretili, rappresenta un contesto ambientale di rilevante interesse storico?naturalistico. Esso, caratterizzato da un millenario uso del suolo, riveste da sempre un’importanza peculiare per le attività umane. Le tracce di frequentazione più antiche risalgono al Paleolitico medio (dai 100.000~80.000 ai 35.000 anni fa, periodo corrispondente alla fase iniziale dell’ultima glaciazione) e sono rappresentate da numerosi manufatti in pietra usati per la caccia.
Tali testimonianze sono concentrate soprattutto al Pratone di Monte Gennaro, che doveva rappresentare un’area di caccia preferenziale per l’abile cacciatore raccoglitore neandrthaliano.
Altri manufatti sono stati raccolti anche a Prato Favale, a Campitello, a Valle Cavalera, a Monte Alucci, a Valle della Troscia, sul Pizzo di Monte Gennaro, sul Monte Pellecchia ed in collina nei pressi della stazione ferroviaria Marcellina? Palombara Sabina. Anche il Paleolitico superiore (dai 35.000 ai 10.000 anni fa, periodo corrispondente alla fase finale dell’ultima glaciazione) è ben rappresentato al Patrone con numerosi reperti Litici. L’uomo neanderthaliano del periodo precedente scompare con la rapida diffusione del più evoluto Homo sapiens sapiens. Con la fine dell’ultima glaciazione termina anche un tipo di sussistenza basata esclusivamente sulla caccia e sulla raccolta e si entra, con il Neolitico antico (dal VI al IV millenio a.C.), con Neolitico antico (dal VI al IV millenio a.C.), con l’Eneolitico (per tutto il III millennio) e con il Bronzo antico (tra il 2.300 e il 1.300 a.C.) in una fase della preistoria caratterizzata da un’economia agricolo/pastorale. Occorre segnalare, a questo proposito, la fondamentale scoperta effettuata nel 1991 a “Le Caprine” di Guidonia di un insediamento pluristratificato (dalla fine del Paleolitico all’età del Bronzo recente) e di una necropolì a incinerazione del Bronzo finale.
Tali scoperte pur non essendo topografícamente pertinenti al territorio comunale di Marcellina rivestono notevole importanza ai fini della conoscenza del popolamento e della sequenza cronologico/culturale dell’intera area geografica. Testimonianze dirette di tali periodi sono piuttosto rare nel territorio lucretile: a Poggio Moiano è presente il Neolitico; a Roccagiovine sembrano attestati il Neolitico finale, l’Eneolitico e il Bronzo antico; a Percile il Bronzo antico.
La tomba risalente ad una fase terminale del Bronzo antico, rinvenuta nel 1942 a Marcellina in loc. Vasoli contenente, oltre a resti umani e a vari oggetti ora dispersi, una alabarda, un’ascia piatta cuspidi litiche di freccia, indica, insieme ai rinvenimenti di Cantalupo Mandela e Colli S. Stefano (Tivoli) la presenza della cultura di Rinaldone. Di maggiore entità sono i reperti relativi alla successiva media età del Bronzo (dal 1700 al 1400 a.C.) che, nella sua fase avanzata (dal 1400 al 1300 a.C.) è rappresentata dall’aspetto culturale Appenninico, diffuso in tutta l’Italia centrale e basato Sullo sfruttamento di risorse primarie quali la pastorizia e l’agricoltura, come dimostrano i ritrovamenti di Monteflavio, di Fosso del Cannetaccio e l’insediamento di Marcellina, venuto alla luce in loc. Fonte Manfrella in seguito ai lavori del metanodotto italo?algerino effettuati i nel 1983.
La ceramica rinvenuta in questi siti consiste in frammenti di utensili in ceramica atti alla lavorazione di prodotti caseari (bollitoi, colatoi, fornelli). Il Bronzo recente (1.300?1.500 a.C.), che nell’area si caratterizzza con l’aspetto culturale subappenninico, nel territorio lucretile, non è ancora stato individuato. Il Bronzo Finale (1150?900 a.C.) vede nella nostra regione l’affermarsi della cultura protovillanoviana alla quale appartengono le tombe ad incinerazione di Palombara Sabina, attribuite tra la fine dell’XI e gli inizi del X secolo a.C. Fenomeno peculiare del Bronzo finale è l’occupazione dei siti d’altura, facilmente difendibili e gravitanti all’interno di aree che permettono un’economia più complessa, ma comunque prioritariamente basata sull’allevamento, sulla pastorizia e su un tipo di agricoltura marginale. Gravitanti intorno al gruppo del Monte Gennaro si possono citare Monte S. Angelo in Arcese, Monte Calvo, Monte S. Martino e Monte Morra.
L’abitato sul Monte Morra è costituito da una triplice cinta di muri a secco e che danno luogo ad altrettanti pianori ove trovavano posto le capanne. I centri d’altura verranno progressivamente abbandonati tra il X e il IX sec. a.C. con il formarsi di centri proturbani di pianura, principalmente per effetto di una forma spontanea di unione di piccoli nuclei abitati (prima età del Ferro 900/720 a.C.) che porterà alla nascita della città.
Unico e splendido esempio di centro protostorico/arcaico a noi vicino, conosciuto attraverso rinvenimenti archeologici e ricordato dalle fonti classiche è Montecelio, tradizionalmente identificato con Corniculum.
Errate considerazioni, legate soprattutto alla fantasia di antiquari dell’800, che collocavano, in qualsiasi sito ove si rinvenissero mura di tipo poligonale o “megalitico”, città ricordate dalla tradizione classica, sono alla base delle credenze popolari che vogliono nel sito di Monteverde, a seconda dei casi, la città triangolare di Medullia o Regillum (questo anche a causa della successione delle opere di costruzione di tre ville di età romana all’interno di un conoide di deiezione); nel sito di Colle Cigliano l’antica Caenina e sul Colle di Turrita vari altri Centri urbani.
Discorso a parte è invece quello relativo al Colle di Castiglione e a Poggio Cesi ove, come per il territorio tiburtino, potrebbero ipotizzarsi strutture difensive ad uso delle popolazioni che, organizzate su nuova forma di insediamento sparso (vici e pagi) comune a tutta la Sabina potevano trovarvi rifugio durante le lotte contro Roma nel IV sec. a.C. Ancora una volta le esigenze agricole e pastorali portarono, presumibilmente in età alto o mediorepubblicana, a sistemare ampie zone terrazzate quali ‘Te Carboniere” e “Monte Matano Anche per queste imponenti opere di sistemazione delle pendici montane vi sono diverse ipotesi interpretative che non si ritiene utile riportare in questa breve sintesi storica.
Con l’ordinamento augusteo la nostra area, appartenente alla Sabina storica, venne inserita nella Regio 1V Samnium et Sabina e si trovò, con molta probabilità, in una fascia si “demarcazione”, sul limite, cioè, dei territori sabino e latino. Il popolamento, durante tutta l’età romana, si manifesta attraverso una rete di ville che per brevità possiamo definire rustico/residenziali, con una economia di carattere inizialmente a carattere prevalentemente silvo/pastorale.
Solo per citare i resti più imponenti si ricordano: il complesso a terrazze di Monteverde (Catabbio), Colle Cigliano, Scocciasanti, la chiusa?cisterna della Scarpellata, Fonte S. Maria, Colle Malasticolo (Peschera), Casal Faccenna Casale Rosso, Via Monte Santo, Fonte Paolone, Preturella, Colle Pietro, Colle Ficoccio, Caolini, Colle della Colonnella, Colle e Casale di Vitriano, Scalzacane. All’intemo del paese ricordiamo l’importante villa di via della Libertà (Sotto S. Maria) sulla quale sorse il Monastero di S. Maria in Monte Dominici; le Grotte dei Vici, grande cisterna (m. 40×24) divisa in sei navate a loro volta suddivise in quattro serbatoi di 10 metri ognuno e che con tutta probabilità riforniva di acqua la villa appena menzionata; i resti in Doc. Lu Scoppu e Macchia Miccia. Esaminiamo un po’ più in dettaglio le caratteristiche degli insediamenti e lo sviluppo economico delle loro produzioni.
Fin dal III sec. a.C. possiamo assistere a piccoli insediamenti rustici consistenti in limitati ambienii abitativi con cisterna per acqua, posti spesso su un terrazzamento. La produzione doveva essere pressochè riservata all’autoconsumo.
Fino dal Il sec. a.C. è presumibile che fossero prevalenti l’allevamento e lo sfruttamento del bosco. In età tardorepubblicana ed in particolare dopo la guerra annìbalica (218?201 a.C.) siamo in presenza di un nuovo tipo di villa a base schiavistica la cui produzione era basata su colture pregiate destinate all’esportazione. Particolare importanza dovevano avere la vite e l’olivo.
Seguivano poi il grano e gli alberi da frutto. Nel Il e nel I sec. a.C. nacquero nuove ville e furono ampliate quelle esistenti. Per la successiva età imperiale non vi sono sostanziali differenze la produzione di olio sabino continuò a costituire una quota importante per il mercato di Roma fino a raggiungere il massimo consumo in età Flavia, come pure il vino che iniziò a declinare nelle esportazioni agli inizi del Il sec. d.C. Occorre ricordare, in questo periodo, alcune attività economiche alternative all’agricoltura: fornaci di laterizi (a Marcellina e Palombara S.), produzione di legname per la carpenteria, produzione della calce, l’apertura di cave.
In età tardo antica si può ipotizzare, come per tutte le altre zone,la nascita del latifondo con una conseguente rarefazione delle ville, riduzione delle colture pregiate con aumento dei terreni a pascolo e seminativo. Nel IV secolo d.C. si registra l’apparire delle Il massae” che raggrupperanno più “fundi”.
Le terre messe a coltura si riducono ancora di più a vantaggio dei pascoli e dei boschi. Le “rnassae” comunque continuarono a rappresentare centri di produzione intensiva. La situazione cambiò radicalmente intorno al X?XI secolo quando la popolazione si ritirò all’intemo di villaggi fortificati. Questo fenomeno, definito “incastellamento”, provocò una profonda trasformazione dell’organizzazione socio?economica precedente e si manifestò con la fondazione di “castra” sorti quasi ovunque, il più possibile, sulle alture.
Tale fatto sembra ricreare l’aspetto dell’habitat preromano. Il nostro territorio è interessato in modo massiccio da questo fenomeno basato su un tipo di economia prevalentemente chiusa e da un incastellamento spontaneo.
E’ tuttavia possibile riportare le varie fondazioni castrali a due principali caratteri: quello laico e quello ecclesiastico, cosa che, come nel caso del Casale di Torrita pose i primi in contrasto con il potere della Chiesa. Tra i “castra” menzioniamo il Castrum Marcellini, oggi quasi completamente distrutto, il già ricordato Casale Torrita, il Castrum Montis Viridis (erroneamente chiamato e riportato sulle carte topografiche come “Marcellina Vecchia”) ed il Castrum Saracineschi, per non citare gli altri innumerevoli insediamenti limitrofi. Il primo riferimento storico relativo a Torrita è costituito da un documento del 1030 della diocesi di Tivoli, in cui è citato “il Castello chiamato Turrita”, i cui ruderi si trovano nella stessa località a circa 2,5 Km. a S?O dell’abitato di Marcellina.
Nulla si sa sull’origine e sulle vicende del Castello fino al sec. XIII; nella seconda metà del 1200 era di proprietà di un certo Lorenzo di Rinaldo di Tivoli, successivamente passò al Monastero di S. Paolo fuori le Mura ed alla casata degli Orsini.
In località Collevecchio, a N?O dell’attuale abitato, sorse un altro villaggio, il Castrum Marcellini, del quale oramai sono rimasti solo pochi ruderi consistenti in una fatiscente e bassa cinta muraria e scarsi resti, a livello del terreno, della torre.
La prima citazione di tale insediamento è contenuta in una bolla del 1153 di papa Anastasio IV, dalla quale risulta anche il nome del signore del feudo, Gregorio de Marcelliniis. Della nobile casata romana dei Marcellini, che furono per almeno tre secoli feudatari della zona, il Comune ha conservato non solo il nome, ma anche lo stemma con le sei rose d’argento in campo azzurro e l’aquila bicipite. La nascita dell’attuale Marcellina va* ricollegata direttamente al Monastero di S. Maria in Monte Dominici ed indirettamente alla distruzione del Castrum.
Secondo la tradizione, infatti, il Castrum Marcellini fu distrutto dalle milizie dei monaci di S. Paolo fuori le Mura, che vennero a contesa con i de Marcellinis.
Questo fatto è generalmente reputato importante in quanto potrebbe aver determinato lo spostamento di un notevole numero di persone dall’antico villaggio alle adiacenze del Monastero di S. Maria in Monte Dominici, e costruire o più verosimilmente infoltire il nucleo abitato circostante ad esso. E’ verosimile, infatti, che data l’importante posizione topografica dell’Abbazia di S. Maria e la sua continuità storica con il tessuto economico di età romana, come si vedrà in seguito, essa costituì sempre un forte polo di gravitazione.
Quando per la prima volta compare nella documentazione, il Monastero di S. Maria in Monte Dominici possiede già un rilevante complesso di beni e dipendenze, costituito da un patrimonio fondiario ad esso contiguo e da 14 chiese dislocate lungo un tracciato che dal territorio di Marcellina saliva a S. Polo e proseguiva sul versante meridionale del massiccio dei Lucretili fino al Poggio dei Ronci. Il documento che ce ne informa è la bolla di papa Anastasio IV del 1153?54 in cui si confermavano appunto tutti questi beni, nonchè lo stato giuridico del monastero.
Era il momento in cui il passo di S. Polo, che consentiva le comunicazioni tra la Sabina e la valle dell’Aniene evitando Tivoli, era oggetto di contese politiche. Esso era stato controllato nell’XI secolo dalla potente famiglia aristocratica dei Crescenzi di Sabina; poi il papa Gregorio VII (1073/1085) lo aveva trasferito, insieme con altri centri importanti della valle dell’Aniene, all’abbazia di S. Paolo fuori le mura. Prima del 1139 i Tiburtini lo avevano conquistato, ma poco dopo, vinti in guerra dai Romani, e costretti a giurare fedeltà al Papato, avevano dovuto riconoscere i diritti eminenti di questo sulle loro conquiste, compresa S. Polo.
L’intervento papale per S. Maria, posteriore di circa 10 anni, dovette far parte delle misure destinate a sistemare il delicato settore strategico conformemente agli interessi della Chiesa romana. Il pericolo più grave non venina ormai da Tivoli ? ed anzi Anastasio IV riconobbe i diritti ordinari di quel vescovo sul monastero ma piuttosto dai vicini signori di Palombara, Montecelio e Marcellina, discendenti dai Crescenzi e tuttora interessati a controllare il valico di S. Polo.
Contro di loro infatti il papa stabiliva garanzie e sanzionava immunità. Il sito dove sorgeva il monastero controllava bene le strade che venivano da Palombara e da Montecelio, proprio dove si diramavano in direzione di Tivoli e di S. Polo. Esso costituiva perciò la chiave dell’accesso alla montagna.
Però non vi si era ancora formato un abitato aggregato: il castello di Marcellina si trovava, allora più a nord.
Un insediamento era facilitato e predisposto dagli imponenti resti di una villa romana, che offrivano tra l’altro abbondante materiale da costruzione già lavorato. In mancanza di adeguati sondaggi archeologici, non sappiamo se tra quelle rovine una chiesa fosse stata già impiantata da tempo, secondo una pratica frequente nella regione.
Si può dire soltanto che la tessitura rnuraria e numerosi dettagli architettonici riscontrabili nella chiesa attuale documentario più fasi costruttive, che peraltro sembrano comprese fra la metà del XII e gli inizi del XIII secolo.
A quest’ultimo traguardo la chiesa aveva certamente assunto l’aspetto ancor oggi riconoscibile nonostante le trasformazioni posteriori: a nave unica separata dal coro per mezzo di un arco trionfale, con un campanile in laterizio che affiancava l’ingresso.
Pertanto, se anche un insediamento ecclesiastico preesistette, esso dovette essere decisamente ristrutturato verso la metà del XII secolo.
Proprio in relazione con l’incremento di importanza di cui è testimone la bolla papale; ma non è impossibile che chiesa e monastero fossero fondati proprio allora, su terra, e forse per iniziativa del vescovo di Tivoli.
La chiesa doveva essere affiancata da altri edifici, di cui le costruzioni posteriori hanno cancellato le tracce. L’importanza attribuita dal papato al settore provocò presto un mutamento della condizione giuridica del monastero. Nella seconda metà del XII secolo esso fu sottratto al vescovato di Tivoli ed attribuito all’abbazia romana di S.Paolo fuori le mura che andava allora ricostituendo il suo dominio alle falde del monte Morra. Nel 1203 il Papa Innocenzo III, grande restauratore del dominio temporale del papato confermò la dipendenza di S. Maria all’abbazia romana, che la tenne fino al 1391, quando per disposizione del papa Bonifacio IX essa fu ceduta alla signoria degli Orsini, che controllavano allora grandissima parte dei territori circostanti. In corrispondenza col passaggio alle dipendenze da S. Paolo, la chiesa di S. Maria ricevette una grande decorazione a fresco che, restaurata nel 1977 dalla Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici di Roma e del Lazio, costituisce un importante documento della storia della pittura medievale.
Essa testimonia la perdurante importanza del monastero, il cui prestigio l’Abbazia egemone volle rialzare, arricchendone il decoro. Sulle pareti sono conservati affreschi attribuibili a due diverse fasi decorative: la prima, corrispondente agli “sguanci” delle primiitive finestre risale al sec. XI la seconda, recentemente attribuita all’innesto di una scuola marcatamente bizantina su una componente romana, nella quale è riconoscibile una tradizione pittorica sabina è databile al terzo o quarto decennio del XIII sec.
Il ciclo pittorico descrive scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. Nell’arco trionfale vi è il Cristo con angeli adoranti e profeti e la Cacciata degli angeli ribelli. Sopra l’altare fa spicco una icona della Madonna con Bambino collocabile nell’ambito della pittura romana del XII sec. 1 possessi di S. Maria conservarono importanza ed unità, consolidandosi fino a divenire, come «tenimentum», una delle partizioni territoriali e giurisdizionali della zona, alla pari con altri territori già dipendenti da antichi castelli ridotti in decadenza, come quelli di Marcellina e Torrita.
Alla fase finale del Medio Evo si devono probabilmente attribuire trasformazioni d’impianto che testimoniano un mutamento nell’uso del complesso, anche se non se ne sono ancora accertati i termini. Alla facciata della chiesa fu addossato un palazzo, destinato probabilmente a residenza degli ecclesiastici, costruito con bellissimi conci di risulta tratti dalle rovine della villa romana.
Tutta la topografia locale venne alterata, giacchè risultò mutato l’accesso alla chiesa che tuttavia non perse d’importanza. Nel XV secolo essa fu rimaneggiata ed abbellita con l’apertura nelle pareti laterali, di due nicchioni decorati con grandi affreschi, probabilmente destinati ad ospitare due altari. Grazie a questa permanenza, la chiesa di S. Maria in Monte Dominico costituì un polo di gravitazione dell’insediamento circostante, che ebbe vicende assai complesse, come testimoniano i molti villaggi abbandonati dei dintorni e può essere considerata come già detto, ìl nucleo generatore dell’attuale Marcellina.
Il feudo di Marcellina rimase alla famiglia Marcellini fino alla vigilia del XV secolo; passò poi agli Orsini che nel 1558 lo vendettero alla famiglia Cesi. Nel 1558 fu la volta della famiglia Cesi. Sotto di essa Marcellina cessò di essere un nucleo indipendente e venne a trovarsi in secondo ordine rispetto a S. Polo. Mantenne però l’integrità del suo territorio diviso nei quattro Quarti di Corso Canale, Monteverde, Caolini, Turrita. Da ultimo tutta la vasta plaga passò ai principi Borghese (1678)., Questi però non esercitarono mai una vera giurisdizione. I tempi erano ormai cambiati: dal 1700 nuove norme dovevano regolare l’amministrazione e il governo dei piccoli comuni degli stati Pontifici e nel 1816 Pio VII avrebbe abolito la giurisdizione e gli statuti locali. I Borghese non esercitarono i diritti dei privati proprietari di terre.
Nel 1827 Marcellina fu iscritta come frazione di S. Polo dei Cavalieri e insieme a questo centro passò a far parte del «Governo» di Tivoli, quando venne creata la Nuova Comarca di Roma con i suoi 12 . Solo il 15 luglio 1909 il paese ritroverà la sua piena indipendenza con l’erezione in comune autonomo.
Da allora esso avrà come stemma quello stesso che era stato lo stemma della famiglia dei Marcellini, il quale resta a segnare il legame dell’attuale Marcellina con il suo passato e con la sua storia. Nella considerazione di opere sacre ci spostiamo all’era recente.
Merita attenzione il campanile della chiesa di Cristo Re. Il campanile iniziato nel 1972 ed inaugurato il 1 giugno 1980, è stato realizzato grazie alla volontà ed interessamento del prof. Domenico Giubilei, primario chirurgo dell’Ospedale di Tivoli, su progetto dell’Ing. Lelio Valeriani Il campanile è in cemento armato con superficie lisciata a vista, perfettamente liscia: la tamponatura è stata ideata in masselli di travertino lavorato a faccia dalla maestranza romana Giuseppe Battaglia con metodo particolare ad asole verticali nei quattro lati, onde realizzare il risultato finale della leggerezza del tutto.
La parte terminale del campanile è formata da una cupola, con una croce alta 2 metri in acciaio ed assemblato a pié d’opera: gli interpiani strutturali terminano con una punta in rame, la cui cella sottobase «cella campanaria» è modellata in quattro «M» gigantesche,, una per ogni lato, inneggianti al nome della Vergine.
Nella cella campanaria sono sistemate quattro campane, di cui tre fabbricate dalla ditta Marinelli della Pontificia Fonderia di Agnone (Isernia) ed offerte da generosi benefattori.
Storia (aggiornato il 06/10/2003) Nel territorio di Marcellina sono presenti numerose testimonianze archeologiche, ma i vari ruderi sono in condizioni tali da offrire elementi per una identificazione solo approssimativa delle costruzioni e dei manufatti.
Tra i resti di epoca romana da segnalare un grande complesso di ville a terrazze.
Verso il 1.000 si verificò il cosiddetto fenomeno dell’incastellamento che provocò una radicale trasformazione socioeconomica . Sorsero numerosi “castra” sulle alture; le varie fondazioni castrali devono essere ricondotte a due principali caratteri: quello laico e quello ecclesiastico, circostanza questa che portò contrasti tra i 2 poteri. Le muraccia (Castrum Montis Viridis) Tra i castra ricordiamo il Castrum Marcellini (“Castelluccio”) oggi quasi completamente distrutto (località Monteverde), il Castrum di Torrita (ruderi 2 km. S-O), il Castrum Monti Viridis ed il Castrum Saracinischi ( “Castellaccio” ) per non ricordare altri innumerevoli insediamenti nei territori limitrofi.
E’ proprio dell’undicesimo secolo la prima fase decorativa del monastero di S. Maria in Monte Dominico che, sorto su antiche strutture di una villa romana dei primi secoli d.C., raggiunse il suo massimo potere nel secolo XII, quando appunto con la Bolla Pontificia di Anastasio IV del 1153,gli vengono confermati un complesso di beni e di dipendenze, costituito da un patrimonio fondiario e da 14 chiese dislocate lungo un tracciato che da Marcellina saliva a S. Polo dei Cavalieri e proseguiva sul versante meridionale del massiccio dei Lucretili fino al Poggio dei Ronci.
Turrita La posizione geografica di Marcellina le attribuiva un particolare valore strategico sulle strade che da Montecelio e Palombara si diramavano in direzione di Tivoli e S. Polo. Sulle pareti della Chiesa di S. Maria sono conservati affreschi attribuibili a due diverse fasi decorative: la prima corrispondente agli strombi delle finestrelle risale al secolo XI, la seconda attribuibile alla corrente antica bizantina della scuola romana è databile alla prima metà del XIII secolo. Sopra l’altare fa spicco una icona della Madonna con Bambino da alcuni ritenuta di stile prettamente romano e non bizantino. Ricorda per gli ornamenti della tunica e per gli altri elementi la Madonna di Teodato a S. Maria Antiqua, la Madonna dei Mosaici di Giovanni VII ora S.Marco di Firenze e la Madonna di S. Maria in Trastevere, da alcuni ritenuta di un secolo più tarda.
Il campanile romanico in laterizi è diviso da architravi con bifore e trifore in ordini sovrapposti, separati da una cornice di mattoni ricorrenti sulle quattro facce, disposti a dente di sega. Marcellina probabilmente ha derivato il suo nome dal Castrum Marcellini, possedimento di un tal Gregorio de Marcellinnis. Secondo la tradizione il Castrum Marcellinis fu distrutto dalle milizie dei monaci di S.Paolo fuori le mura che vennero a contesa con i de Marcellinis. CampanileS.M. Monte Dominici Questo fatto è reputato generalmente importante in quanto potrebbe aver determinato lo spostamento di un grosso numero di persone dall’antico Castrum alle adiacenze del monastero di S. Maria e costituire così il primo nucleo di persone che formarono il nucleo attuale di Marcellina o contribuire al suo infoltimento.
Questa comunità continuò a risiedervi ininterrottamente come nucleo indipendente fino al 1558. Da qui certo sta il fatto che il dominio feudale sul territorio del castello distrutto tornò agli antichi signori. I Marcellini tennero il loro dominio fino al secolo XV .
Il feudo fu poi ceduto agli Orsini, proprietari di molti territori circostanti, quando i monaci di S.Paolo misero sotto la protezione di questa famiglia la Chiesa di S.Maria. Il fatto diviene esecutivo nel 1429 con la cessione da parte dei monaci di ogni loro diritto su questi feudi grandi.
Nel 1558 fu la volta della famiglia del Cardinale Cesi; sotto di essa Marcellina cessò di essere un nucleo indipendente e venne a trovarsi in secondo ordine rispetto a S.Polo; mantenne però l’integrità del suo territorio divisa nei quattro Quarti di Corso (Canale), Monteverde, Caolini e Turrita.
Da ultimo tutta la vasta area passò ai Principi Borghese; questi però non esercitarono mai una vera giurisdizione; i tempi erano ormai cambiati: dal 1700 nuove norme dovevano regolare l’amministrazione ed il governo dei piccoli comuni degli Stati pontifici; nel 1816 Pio VII avrebbe abolito la giurisdizione e gli statuti locali; i Borghese non esercitarono i diritti dei privati proprietari di terre.
Nel 1827 Marcellina fu iscritta come frazione di S.Polo dei Cavalieri e insieme a questo centro passò a far parte del “Governo” di Tivoli, quando venne creata la Nuova Comarca di Roma con i suoi 12 “Governi”.
Solo il 15 luglio 1909 il paese ritroverà la sua piena indipendenza con l’erezione in Comune autonomo: da allora esso avrà come stemma quello stesso che era stato lo stemma della famiglia dei Marcellini, il quale resta a segnare il legame dell’attuale Marcellina con il suo passato e la sua storia.