Migranti a Montesegale
7 Ottobre 2016
“ll borgo, sensibile al valore della fratellanza e disponibile all’accoglienza anche nei confronti di cittadini e lavoratori provenienti da altri Paesi europei ed extraeuropei, deve diventare sempre più un luogo basato su un ordine sociale in cui tutti i gruppi e le persone, compresi i nuovi arrivati anche in condizioni di precaria e provvisoria cittadinanza, siano integrati e partecipino alla vita sociale, economica e culturale. Un borgo aperto a tutti, un borgo dell’Europa”.
La riflessione su ciò che in questi giorni sta accadendo nel piccolo Comune di Montesegale (Pv) non può che prendere avvio da queste parole del Manifesto dei Borghi Autentici d’Italia: i piccoli comuni non devono tirarsi indietro da quelle dinamiche di accoglienza e apertura che, soprattutto in questa fase storica caratterizzata da flussi migratori importanti, diventano fondamentali per agire consapevolmente, pianificando un futuro condiviso con chi ha dovuto lasciare la propria terra e non soltanto gestendo temporaneamente l’emergenza.
Diventare un “borgo d’Europa”, questo si dice nel Manifesto: non chiudersi in se stessi, non nascondersi dalle responsabilità, non abbassare gli occhi di fronte a una situazione che richiede un intervento diretto.
Il Comune di Montesegale sta affrontando in questi giorni una sfida non facile, mettendo in luce un atteggiamento univoco di amministrazione e cittadinanza che rispecchia perfettamente le parole del Manifesto: il paese è pronto per l’accoglienza ma questa accoglienza deve rispettare sia le esigenze del borgo sia il diritto dei rifugiati di avere un futuro che sia qualcosa di diverso – qualcosa di più – che un tetto (o peggio, una tenda) sotto cui passare le notti.
Il fatto, sintetizzato in poche parole, è questo: al borgo sono stati affidati 45 rifugiati, che dovrebbero soggiornare in uno stabile al momento non agibile; per ora sono 7 i migranti che hanno raggiunto il paese e che vivono in tende, in una frazione di soli 5 abitanti.
In tutto questo, la reazione del Sindaco Ferrari, perfettamente in sintonia con il sentire della comunità locale del borgo pavese, si attesta su una richiesta di qualità: il piccolo paese è pronto sì a ospitare migranti ma ci sono alcune importanti condizioni che non dovrebbero – in nessun caso, non soltanto per quanto riguarda specificamente Montesegale – essere ignorate.
Innanzitutto un comune, se da un lato ha il dovere di dare ascolto a questo bisogno di accoglienza e agire concretamente perché essa si realizzi, dall’altro può farlo in modo proporzionale alla sua capacità e dunque alla sua popolazione. Montesegale conta circa 300 abitanti, la frazione che dovrebbe accogliere i migranti ne conta 5: accogliere 45 migranti, così come era stato richiesto, significherebbe dover gestire circa 150 migranti ogni 1000 abitanti, mentre secondo il piano concordato tra Viminale e Anci il rapporto dovrebbe assestarsi sulla presenza di 2,5 migranti ogni 1000 abitanti. La differenza è notevole e si tratta di una differenza che non potrebbe non incidere su questioni organizzative, di gestione delle risorse e di reale integrazione nella comunità locale.
In secondo luogo, l’approccio con cui il Sindaco Ferrari e i suoi concittadini stanno affrontando la questione denota una capacità e un desiderio di accoglienza che meritano una riflessione particolare: Montesegale si presta ad accogliere i migranti, non si tira indietro, anzi si dichiara pronta a condividere spazi, risorse e opportunità, ma questa accoglienza deve essere un’accoglienza “di vita”.
Si tratta di una prospettiva fondamentale che spesso non viene considerata quando si parla di accoglienza e migranti: nella maggiore parte dei casi, infatti, il focus resta sulla gestione dell’emergenza, che sicuramente è una questione fondamentale e pressante ma che ha bisogno di essere, nel tempo, superata per concentrarsi invece sulle prospettive di un futuro comune da costruire. In questo senso le parole del primo cittadino di Montesegale acquisiscono un valore particolare, perché spostano il focus dall’immediato al futuro. Per la precisione, si tratta di un futuro che, in quest’ottica di condivisione e accoglienza, dovrà mettere in gioco risorse, strategie e impegno: non accontentarsi di dare un’abitazione ai rifugiati ma desiderare che diventino, per il periodo di accoglienza, parte attiva della cittadinanza è un progetto ambizioso, profondo, sicuramente complesso, ma si tratta dell’unica via possibile affinché le dinamiche di puro assistenzialismo lascino il posto a una progettazione partecipata della vita di comunità.
La questione che il borgo autentico di Montesegale sta affrontando è dunque complessa e richiede un’estrema attenzione per coglierne criticità e opportunità. Ciò che sicuramente è importante mettere in evidenza è questo desiderio di includere, accogliere ma in modo profondo, realizzando percorsi di qualità che portino nel tempo a risultati positivi per tutti.
“Includere i nuovi residenti, responsabilizzandoli verso la dimensione comune del vivere insieme e sulla possibilità di incrementare il capitale sociale proprio attraverso il confronto e la comprensione fra diverse identità, farà sì che l’accrescimento e il miglioramento sia reciproco e cosmopolita senza per questo, appunto, perdere la propria identità.
[…] Viceversa, anche questi nuovi cittadini potranno essere i “protagonisti” dell’evoluzione socio-culturale ed economica delle comunità dei borghi: e questa “mescolanza” di vecchi e nuovi cittadini produrrà una interessante modalità di coesione e un grado maggiore di partecipazione. Per creare comunità “aperte e solidali” capaci di rigenerare risorse e opportunità locali, comunità propense ad apprezzare una logica di sviluppo sostenibile e rispettoso dei valori patrimoniali storicamente consolidati”.
(dal Manifesto dei Borghi Autentici d’Italia)
Valeria Zangrandi, redazione Borghi Autentici d’Italia