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Il basso medioevo

Castrum Planzani

Al volgere tra il primo e il secondo millennio, quello che un tempo era un piccolo villaggio facente parte del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, si era guadagnato l’epiteto di castrum, ovvero di borgo fortificato, di cui resta traccia in un piccolo tratto di muro appartenente all’antica rocca de XII secolo. Le cronache ci informano che intorno al 1150 Piansano era nelle mani dei conti di Vetralla che di lì a poco, per iniziativa del conte Guitto, cedettero metà del loro possedimento a Viterbo: a memoria di questo evento vi è il dipinto seicentesco di Ludovico Nucci e Tarquinio Ligustri che decora il soffitto della Sala Regia del comune di Viterbo; insieme a Piansano, cinto di mura e coronato da torri, vi compaiono altri borghi, quali Marano, Bisenzo, Cornienta, che nel medioevo caddero ripetutamente tra le grinfie della potente città. Alla metà del secolo successivo fecero invece la loro comparsa nella storia del borgo i signori di Bisenzo: iniziarono intrighi di famiglia, successioni, tradimenti, uccisioni, che videro coinvolti valenti quanto spregiudicati nobili come i fratelli Giacomo, Nicola e Tancredi, eredi del feudo nel 1258, e Galasso che nel 1301, tradendo la vicina Tuscania, si alleò con Viterbo. Forti ripercussioni ebbe l’esilio dei papi ad Avignone, nel 1305: i conti di Bisenzo, dichiaratamente ghibellini, si dettero a scorrerie di ogni tipo nei territori papali, approfittando dell’assenza dei pontefici; al termine della cattività avignonese, furono duramente puniti e dovettero consegnare le chiavi del castello, scomparendo così per sempre dalla storia di Piansano. Iniziarono anni molto travagliati, in cui l’egida della Chiesa si alternò a potenti uomini d’armi in cerca di nuovi feudi, Giovanni dei prefetti di Vico, Cinzio di Giacomo d’Arezzo, Giannotto di Monte San Martino; nessuno di questi riuscì a lasciare durevole traccia di sé nella storia del borgo, che sfiancato da anni di lotte e contese dovette subire anche la demolizione del proprio castello, fieramente eretto secoli prima. Privato della rocca e impoverito, Piansano era tuttavia ancora ambito e conteso nelle dispute del tempo; fino a chè, nel 1537, il borgo passò nelle mani di Pier Luigi Farnese, primo Duca di Castro; per Piansano si aprirono nuove intense pagine di storia.

Nasce il ducato di Castro…

L’annessione al ducato di Castro rappresentò un momento di fondamentale importanza per il borgo di Piansano: privo da anni di una guida politica stabile, ormai povero e quasi disabitato, nelle mani dei Farnese sorse a nuova vita attraverso una sapiente opera di recupero delle terre un tempo fertili e poi abbandonate. Fu soprattutto il cardinale Alessandro, nipote di Paolo III, a prendersi cura di molte delle terre incamerate nel ducato: verso i centri di Piansano, Arlena, Tessennano, accomunati da un crescente stato di abbandono, furono incoraggiate a trasferirsi numerose famiglie provenienti ora dalle terre toscane ora umbre, allo scopo di ripopolare, i piccoli centri vessati da anni di incurie. Fu così che, intorno al 1560, nel borgo di Piansano giunsero genti provenienti dalla vicina toscana, in origine poco più di dieci famiglie, destinate ad aumentare notevolmente nel tempo; ad essi veniva concesso, dietro pagamento di un dazio, un terreno disboscato, pronto per essere coltivato o lasciato al pascolo, e si accordava la possibilità di costruirvi sopra nuove case.

Il cronista del Ducato di Castro Benedetto Zucchi ricorda come i coloni di Piansano riuscirono ad ottenere terreni da pascolo a discapito di Tuscania,…perché il castello essendosi cominciato ad ampliare ne aveva molto bisogno…. La manciata di uomini giunti nel 1560, nel giro di pochi decenni diede vita ad un borgo di quasi 160 famiglie, che riportarono in vita antiche tradizioni e ne impiantarono di nuove, memori delle origini toscane; con il sudore risanarono le terre rendendole nuovamente fertili, edificarono case per abitare dignitosamente e chiese per onorare la loro devozione, restituendo a Piansano la fierezza di un tempo. A testimonianza di ciò, nelle campagne piansanesi sono sono stati rinvenuti dei cippi di confine in peperino, uno recante il giglio e le iniziali AF, ager farnesianus, l’altro con su inciso TA, ager tuscanensis, e lo stemma di Tuscania, ad indicare il confine tra le terre pertinenti ai due vicini centri.

Dalle macerie del ducato risorge Piansano

Nel Novembre del 1649, al termine di una lunga guerra, Papa Innocenzo X ordinò la distruzione di Castro, capitale del ducato Farnesiano, annettendo allo Stato della Chiesa ogni terra ne avesse fatto parte. Il territorio espropriato venne affittato ad appaltatori scelti dalla Santa Sede, incaricati all’amministrazione dei terreni per periodi di nove anni; il risultato fu una crescente condizione di degrado e povertà che interessò tutti i paesi dell’ex ducato. Gli appaltatori agivano infatti nella cura dei propri interessi, non adoperandosi a incentivare la produzione agricola, al contrario ancorando

i centri ad un economia stagnante, in cui erano quasi aboliti gli scambi e moltiplicati i vincoli; era proibito coltivare o pascolare bestiame al di fuori delle terre un tempo del ducato, non si poteva costruire e si lavorava sotto il controllo dei soldati, al sostentamento dei quali erano gli stessi abitanti a provvedere obbligatoriamente: ogni disobbedienza era infatti punita con la confisca dei beni. Tale situazione si protrasse per tutto il XVIII secolo, accompagnando molti centri lungo la via della decadenza.

Piansano, così come gli altri borghi, vide tramontare in pochi decenni la floridezza duramente conquistata; tuttavia la tempra dei cittadini, abituati fin dalle tumultuose vicissitudini del passato a sollevarsi nei momenti di crisi, evitò il decadimento del paese, che sebbene afflitto da pestilenze e carestie, trovò tuttavia la forza di andare avanti e mantenere viva la propria identità culturale e le proprie tradizioni. Come spesso è accaduto anche altrove in mancanza di guide politiche di riferimento, furono le famiglie locali più abbienti a tenere le redini del paese; fu grazie alla generosa iniziativa di alcune di queste che nel corso del XVIII secolo, proprio quando il dissesto era ormai all’apice, sorsero nuovi edifici, nacque la scuola delle Maestre Pie, la chiesa parrocchiale di San Bernardino venne portata a nuovo spelndore, si edificarono le chiesette del Suffragio e di Sant’Anna; artefici di molte di queste nobili e liberali azioni furono i membri della famiglia De Parri: forti dell’accumulo di ingenti capitali e possessori di molte terre, misero spesso la loro ricchezza al servizio della comunità, sebbene siano noti i loro intrighi di famiglia, le spregiudicate mosse politiche, l’amore per la mondanità, che però mai ne infangarono la fama di benefattori; in particolare la loro munificenza fu indirizzata a promuovere iniziative della Chiesa di Roma, con la quale vantavano ottimi rapporti.