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Storia contemporanea

La storia contemporanea attraverso le amministrazioni comunali

Dal medioevo fino al tutto il ‘700 ad amministrare i piccoli comuni della Tuscia sono i podestà. Il podestà è di norma uno straniero ed il suo ufficio è temporaneo; si occupa di amministrare la giustizia per le cause criminali e civili e gli sono demandate le decisioni consiliari quale capo supremo del potere esecutivo. Nel 1796 le armate Napoleoniche, entrate in italia, conquistano anche lo Stato Pontificio; durante la prima parentesi francese vengono stravolte le amministrazioni comunali e a capo del comune viene posto unedile. Nel 1800 il nuovo pontefice Pio VII riprende possesso delle terre del Patrimonio di San Pietro, consegnategli dagli eserciti napoletano ed austriaco. Vengono introdotte delle riforme nel sistema della pubblica amministrazione dello stato ecclesiastico e i comuni vengono posti alle dipendenze del Delegato Apostolico. Con il decreto Napoleonico del 17 maggio 1809, Lazio ed Umbria vengono annesse all’Impero Francese. I comuni furono da allora amministradi da un maire (sindaco), che durava in carica 5 anni ed era scelto tra i maggiorenti del paese. Nel luglio del 1815, a seguito delle deliberazioni del congresso di Vienna, gli antichi territori della Chiesa vengono restituiti al Papa Pio VII. Con il provvedimento motu proprio del 6 Luglio 1816, viene riorganizzata la pubblica amministrazione: il consiglio comunale diventa di nomina governativa e vitalizia; i consiglieri devono essere originari del luogo e appartenere a determinate categorie di cittadini (possidenti terrieri, capi delle arti, commercianti ecc..). La carica di gonfaloniere, corrispondente all’attuale sindaco, è ricoperta da un cittadino eletto direttamente dalla Segreteria di Stato.

Nel 1824 Papa Leone XII diede avvio ad una nuova riforma (con motu proprio), nella quale si stabiliva che il consiglio comunale fosse composto per metà dal ceto nobile e per metà dai cittadini e che la carica di consigliere fosse, oltre che vitalizia, anche ereditaria. Si andava così rafforzando il potere della piccola nobiltà legata all’autorità pontificia.

La quasi esclusiva vocazione agricola del paese portò Piansano a ignorare i moti rivoluzionari che coinvolsero il resto d’italia nel grande Risorgimento. Ciò si riflette anche nella toponomastica paesana, che vede la quasi totale assenza di rimandi al Risorgimento Italiano nei nomi delle vie principali, mentre nel resto d’italia vie e piazze vengono rinominate con i simboli dei moti rivoluzionari.

Con l’unità d’Italia si va delineando quella struttura degli organi comunali che giungerà fino ad oggi. All’indomani dell’annessione del Lazio al Regno d’Italia (con plebiscito del 2 Ottobre 1870) la

carica di sindaco sarà ricoperta dai vari maggiorenti del paese. Va sottolineato che il sistema elettorale in vigore in quel periodo era a suffragio ristretto, vale a dire votava solo chi aveva un censo elevato. L’amministrazione del comune di Piansano era appannagio delle poche famiglie nobili, grandi proprietari terrieri, che gestivano la cosa pubblica a loro vantaggio: di fatto poco era cambiato dal feudalesimo, dal quale Piansano si era emancipato già in ritardo con le lotte per la terra. Il cosidetto “suffragio universale” fu introdotto solo nel 1918, dopo la I guerra mondiale, ma era ancora esclusivamente maschile e fu presto di fatto abolito dal regime Fascista. Le libere elezioni furono riprese nel 1945, con la fine della II guerra mondiale, quando fu esteso il diritto di voto alle donne. Il progressivo ampliamento della base elttorale, seguito ad un faticoso cammino di democratizzazione, ha inciso col tempo anche sull’estrazione sociale dei sindaci, non più facoltosi possidenti terrieri ma piuttosto moderni agricoltori, lavoratori dipendenti, pensionati, professori.

I sindaci di Piansano dall’unità d’Italia ad oggi:

Dal 1871 alla I Guerra Mondiale:

– Generoso Talucci: nel 1871

– Domenico Gigli: dal 1872 al 1876
– Domenico Parri: dal 1877 al 1879
– Francesco Lucattini: dal 1883 al 1896 / dal 1908 al 1910
– Luigi Bartolotti: dal 1896 al 1899
– Giuseppe Compagnoni: dal 1899 al 1904
– Vincenzo Ruzzi: dal 1904 al 1908
– Felice Falesiedi: dal 1910 al 1914
– Lauro De Parri: dal 1914 al 1925

I podestà sotto il regime Fascista:

– Rodolfo Cascianelli: dal 1926 al 1929
– Lauro De Parri: dal 1929 a maggio 1944

Dal secondo dopoguerra ad oggi:

– Vittorio Falesiedi: dal 13 Giugno 1944 a Dicembre 1945
– Giuseppe De Simoni: da Aprile 1946 a Dicembre 1953
– Pietro Foderini: da Gennaio 1954 a Giugno 1956

– Leonardo Falesiedi: da Giugno 1956 a Novembre 1960
– Mario Belano: da Novembre 1960 a Novembre 1964
– Ivrio Belano: da Novembre 1964 a Dicembre 1967
– Giuseppe Melaragni: da Gennaio 1968 a Giugno 1970
– Franco di Francesco: da Giugno 1970 a Luglio 1975
– Giuseppe Foderini: da Luglio 1975 a Giugno 1980
– Carlo Brizi: da Giugno 1980 a Maggio 1985
– Carlo Consalvi: da Maggio 1985 a Maggio 1990
– Luigi Burlini: da Maggio 1990 ad Agosto 1992 / da Aprile 1995 a Giugno 1999
– Carlo Mattei: da Agosto 1992 ad Aprile 1995
– Roseo Melaragni: da Giugno 1999 a Giugno 2009
– Andrea Di Virginio: Sindaco in carica da Giugno 2009.

La tessitrice di Piansano: Lucia Burlini.

Nel XVIII secolo la piccola Piansano ha dato i natali ad un’umile tessitrice, Lucia Burlini, che a dispetto delle sue modeste origini e di una vita condotta nella frugalità e in assoluta semplicità, seppe destare e commuovere le coscienze della popolazione della Tuscia, lasciando un segno indelebile nella fede e nella devozione popolare.

Nata in un momento difficile della storia del borgo, gli inizi del Settecento, quando a Piansano imperversavano carestie e povertà, ebbe una vita di stenti e di sofferenze, vissuta tra la fede, encomiabili esperienze caritatevoli e l’umile quanto dignitoso lavoro di tessitrice condotto in famiglia. Frequentò la locale scuola delle Maestre Pie e già fin dall’adolescenza mostrò i primi sintomi della profonda religiosità che ne contraddistinguerà gli anni della giovinezza; momento significativo della sua esperienza di fede fu l’incontro nel 1734 con Paolo della Croce. Il Santo in quel tempo si trovava nella vicina Cellere, impegnato in una Missione popolare che incantò e scosse sensibilmente le piccole comunità rurali di quelle terre. Nel colloquio tanto desiderato, Lucia manifestò il suo fermo volere di intraprendere un cammino spirituale sotto la sua guida. Iniziarono anni segnati da salute malferma nonostante la giovane età, ma anche dal fervente desiderio di seguire il missionario, fin da subito consapevole dell’eccezionale vocazione di Lucia. Dai ripetuti colloqui col Santo, la giovane Lucia apprese il cammino da percorrere per raggiungere la spiritualità e la perfezione evangelica; agli incontri, si aggiungeva un’intensa corrispondenza epistolare, notevole fonte di informazioni per ricostruire la vita della giovane, ancora più preziosa se si pensa che Lucia doveva essere analfabeta, mandata a scuola per imparare a svolgere i lavori domestici, in particolare la tessitura, che mai abbandonò nel corso della vita, esortata a ciò dalla sua stessa guida spirituale. La scuola delle maestre pie infatti non prevedeva l’insegnamento della scrittura ma solo delle arti pratiche; la stessa Lucia dovette provvedere da sola ad imparare a

leggere e scrivere, con grandi difficoltà come dichiara lei stessa. Si saprà poi che lo stesso Paolo della Croce introdusse il giovane prete Don Giovanni Antonio Lucattini, per aiutare Lucia a comprendere i passi più difficili delle sue lettere, come le frasi in latino e i concetti teologici.

La figlia di Dio trascorse gli anni a seguire in totale impegno caritatevole, operando a sostegno della vicina comunità passionista del “Cerro” a Tuscania e prodigandosi come instancabile questuante per l’opera di San Paolo della Croce.

Dal carteggio con il Santo si apprendono episodi considerati miracolosi dai contemporanei, a cui è la stessa Lucia a dare voce, come la sublime visione delle colombe e il mistico abbraccio del Crocifisso. Il primo si riferisce ad un episodio di preveggenza, nel quale la Burlini prevede la fondazione dell’ordine delle suore claustrali della Passione, simboleggiate del volo di uno stormo di tortorelle volteggianti intorno al crocefisso. Ma l’episodio della vita di Lucia che più è rimasto impresso nella memoria dei compaesani è l’abbraccio di Gesù crocefisso, avvenuto nel 1751, nella appena rinnovata chiesa parrocchialedi San Bernardino; mentre la donna pregava sull’altare del santissimo Crocefisso, Gesù staccate le mani dalla croce la invitò in un abbraccio.

Aggravatesi le sue già precarie condizioni di salute, Lucia Burlini morì il 1 Maggio 1789, venerata da una folla di quanti l’avevano tanto amata in vita. Un processo canonico voluto dal Vaticano, alla luce della sua conclamata santità, l’ha consacrata Venerabile nel 1987; a Piansano una lapide ricorda la sua piccola casa natale, umile come la sua esistenza, evocatrice di fede e carità nel suo indelebile ricordo. Nella chiesa parrocchiale fu eretto un monumento a lei dedicato che ospita la tomba, divenuta meta di pellegrinaggio, incontri e veglie di preghiera, particolarmente il primo di maggio, giorno della sua pia morte.