Cenni Storici
Le più antiche testimonianze si riferiscono all’uomo preistorico, che frequentò in lungo e in largo tutto il medio bacino del Liri.
Nella campagna a nord del paese, in contrada Vetrine, è stato individuato un luogo di caccia e sono venuti alla luce amigdale e utensili di osso del Paleolitico Inferiore. Associati a questi utensili si trovavano resti ossei di alcuni animali tipici di quell’era come l’Elefante Antico, il Rinoceronte, il Cervo Elafo, il Bue e il Cavallo Selvatico.
Nel centro urbano, e precisamente presso il Liri sotto Piazza Belvedere, durante i lavori di scavo sono emersi reperti del Neolitico, a dimostrare che le grotte ivi esistenti (oggi quasi tutte chiuse da mura di sostruzione) erano abitate in quel periodo.
del Bronzo è rappresentata da rinvenimenti sporadici, come un’ascia di rame così detta ad alette rinvenuta nella zona di S. Oliva. Insediamenti dell’età del Ferro dovevano, invece, trovarsi nei dintorni dell’isolato monte Leuci, in particolare dal lato che guarda il fiume dove fu scoperto un ripostiglio di armi e oggetti di bronzo.Nel lungo periodo romano il territorio pontecorvese fece parte della giurisdizione municipale di Aquino.
Di quell’epoca restano numerose testimonianze sparse, come iscrizioni funerarie e ruderi di fattorie e di ville disseminate nella campagna, e di fatti ancora oggi, un po’ dovunque, emergono tombe fatte con tavoloni di terracotta. Tra le ville più importanti va ricordata quella appartenente alla potente famiglia dei Cecina-Suetria, che sorgeva sotto la frazione di S. Oliva sulla riva destra della Forma Quesa.
Alcuni vani periferici di questa villa furono scavati nel 1983, durante i lavori per i passaggio del metanodotto algerino, e Vi si recuperarono monete del secolo III° – IV°, che dimostrano un uso dell’abitazione fino al tardo impero.
L’attuale paese è di origini altomedievali e si formò verso l’860, quando il longobardo Rodoaldo trasferì qui la sede del Gastaldato di Aquino. Questi vi costruì un castello presso un villaggio preesistente, che dalla caratteristica forma del vicino ponte sul Liri prese il nome di Ponte Curvo, nome che alcuni secoli dopo si trasformò in Pontecorvo.
Della fondazione del castello siamo informati da una cronaca cassinese di poco posteriore all’avvenimento, la quale ricorda inoltre la curiosa e triste fine di Rodoaldo.Eccone il racconto: appena costruito il ben munito castello, Rodoaldo tentò di rendersi autonomo da Capua, da cui dipendeva il Gastaldato di Aquino.
I Capuani tentarono ripetutamente di sottomettere il ribelle, ma impegnati in lotte interne non vi riuscirono. Quando le discordie a Capua terminarono e si rafforzò il potere centrale, Rodoaldo si sentì in serio pericolo e per difendersi tentò di stringere alleanze con i Franchi.
In questa occasione entra in gioco Magenolfo, un avventuriero venuto in Italia nell’866 al seguito dell’imperatore Lodovico II° nella spedizione per scacciare i Saraceni dal sud dell’Italia e per sottomettere gli stati longobardi; e Magenolfo riuscì ad imparentarsi con lo stesso imperatore sposando una sua nipote.Verso l’881 costui “si recava in Francia per chiedere all’imperatore in quale luogo potesse vivere ed abitare.
E Rodoaldo gli mandò come messo un tal prete Orso per convincerlo a tornare indietro e a trattenersi nella sua residenza per aiutarlo contro coloro che lo perseguitavano.
Allora Magonolfo, interrotto il viaggio, si recò a Pontecorvo. E non molto tempo dopopartì per Salerno e, presa la moglie con tutte le suppellettili e i servi, ritorno al castello”. Qui egli tanto seppe tramare che la fece da padrone: cacciò in prigione Rodoaldo, ne fece precipitare dalla torre i due suoi figli e si appropriò del castello.
Verso l’888 il Gastaldato di Aquino – Pontecorvo tornò a tutti gli effetti sotto la giurisdizione della contea di Capua. Dopo Magenolfo troviamo come Gastaldato Rodiperto, marito di una figlia dell’ipate di Gaeta Docibile I°, al quale successe il figlio Atenolfo detto Megalu.Per merito di questo Atenolfo verso il 980 il Gastaldato fu trasformato in contea, contea che, alla sua morte, venne divisa in due contee distinte, quella di Pontecorvo e quella di Aquino. Il primo conte di Pontecorvo fu Guido, primogenito di Atenolfo, ma alla sua morte le due contee furono riunite dal successore Atenolfo V°.Atenolfo V° fu il più famoso e potente dei conti di Aquino: divenne duca di Gaeta e durante il suo governo si oppose tenacemente e con successo all’espansione dei Normanni a nord di Capua. Infatti solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1062, essi poterono completare la conquista, occupando Gaeta nel 1064 e la contea di Aquino – Pontecorvo nel 1065. con l’arrivo dei Normanni questa contea fu di nuovo divisa ed anzi, per punire le ribellione dei conti aquinati, quella di Pontecorvo venne addirittura aggregata al ducato di Gaeta ed alcuni dei suoi castelli, come San Giovanni Incarico, furono separati da essa.
Nel 1105 gli abati di Montecassino riuscirono a soddisfare l’ambìto desiderio di entrare in possesso di Pontecorvo. Tuttavia questa dipendenza, durata quasi quattro secoli, fu caratterizzata da frequenti sommovimenti e occupazioni da parte dei nemici degli abati e dalle vicende politiche contingenti, occupazioni favorite talvolta dagli stessi pontecorvesi che mal sopportavano il gioco cassinese. Fu infatti durante la dominazione cassinese che si diffuse a Pontecorvo, verso il 1186, la setta denominata “dei Vendicosi”, come pure fu durante questo periodo che la nostra città partecipò allo Scisma d’Occidente schierandosi a favore dell’antipapa Clemente VII° eletto a Fondi il 20 settembre 1378. puntualmente a questi fatti seguirono, nel 1190 e nel 1393, le concessioni da parte degli abati di Montecassino di statuti municipali col chiaro intento di addolcire il carattere ribelle della popolazione.
Finalmente nel 1463, per unanime scelta e per spontanea dedizione dei suoi amministratori, Pontecorvo si assoggettò allo Stato Pontificio, di cui rappresentò un’isola inserita nel Regno di Napoli. Questa particolare condizione geografica la sottopose inevitabilmente a varie occupazioni, che tuttavia furono solo temporanee, ma ne favorì d’altra parte un fiorente sviluppo economico.Del precedente periodo cassinese sono anche memoria i pochi tratti di mura con torrioni, riferibili alla ricostruzione o al restauro della poderosa cinta altomedievale del Castello di Rodoaldo, parzialmente conservata sotto l’attuale via Mura S. Andrea.
Così come importante testimonianza di quel castello è la poderosa torre, non a caso detta di Rodoaldo, che oggi funge da campanile della cattedrale.La ancor più lunga dominazione pontificia procurò come abbiamo detto, un forte sviluppo economico che, però, interessò solo il ceto “aristocratico” e quello ecclesiastico in particolare, a cui il predetto ceto era strettamente collegato. Non a caso nella città si potevano contare all’inizio del secolo XIX°, ben sei parrocchie interne (compresa la cattedrale e due collegiate) e una settima nella frazione di S. Oliva, oltre a tre monasteri e molte cappelle. Vi era inoltre una ricca Commenda dei Cavalieri di Malta facente capo all’ospedale prima e alla chiesa dopo di S. Giovanni a Gaudo (oggi S. Giovanni a Melfi), di cui sopravvivono i resti presso il fiume Liri in contrada Melfi di Sotto.
Queste istituzioni erano, chi più chi meno, tutte dotate di proprie rendite e benefici, specie fondiari, che nel complesso superavano notevolmente la metà della ricchezza disponibile. Tra l dipendenze della Cattedrale va ricordata la chiesa detta “La Canonica”, che, sebbene ora ridotta ad un rudere extraurbano, è l’unica che ha conservato un artistico affresco del secolo XVI° con l’Immacolata, di recente restaurato, la cui attribuzione oscilla tra il Cavalier d’Arpino ed il pittore Cassinate Marco Mazzaroppi.
Il favorevole andamento demografico ed urbanistico e il maggior prestigio acquisito dalla città nel periodo pontificio indusse il Vescovo di Aquino a trasferirvi la sede della diocesi e ben anche, nel 1725, a farle ottenere il titolo vescovile.Nel 1799, durante il periodo Giacobino, fece nominalmente parte della Repubblica Romana come Cantone nel Dipartimento del Circeo e per breve tempo vi fu innalzato l’Albero della Libertà. Con la prima reazione venne occupata dalle truppe borboniche, ma nel 1806 Napoleone Bonaparte, ricacciati papa e borboni, la incamerò nell’Impero Francese e la elevò a Principato assegnandola a Giovanni Battista Bernadotte, che la lasciò nel 1810 quando fu designato re di Svezia.
Con Bernadotte, rappresentato sul posto da un vice – principe nella persona di Giulio Cesare Nota, Pontecorvo ebbe una sola autonoma “carta costituzionale” improntata su quei principi di maggiore giustizia sociale scaturiti dalla Rivoluzione Francese. Ritornò quindi all’Impero e nel 1811 fu occupata dall’allora re di Napoli Gioacchino Murat. Dopo il congresso di Vienna ritornò al papa; ma i pontecorvesi ricordavano sempre con una certa nostalgia il precedente periodo bernadottiano – murattiano.
Perciò, subito dopo la seconda restaurazione, in Pontecorvo cominciò a diffondersi la Carboneria e quando si presentò l’occasione dei moti del 1820-21, che investirono a largo raggio l’Italia centro-meridionale, essi non esitarono a scacciare i governanti e le truppe papaline e ad innalzare il tricolore costituzionale. Rifiutata l’annessione allo Stato Napoletano, già liberato dal Borbone, i pontecorvesi seppero con entusiasmo operare la scelta più coraggiosa e memorabile della loro storia: proclamare il 4 agosto 1820 la Repubblica di Pontecorvo. Quell’irripetuto e appassionato desiderio di libertà venne poi soffocato dalle truppe austriache che entrarono in città la sera del 17 marzo 1821.
Il 7 dicembre 1860, nella sala comunale, venne ufficialmente e definitivamente deliberata l’annessione all’Italia Unita, mentre tutt’intorno dilagava il fenomeno del brigantaggio.La cittadinanza si presenta oggi di aspetto moderno perché ricostruita, senza però un criterio urbanistico, dopo la seconda guerra mondiale, quando venne quasi completamente distrutta dai bombardamenti, salvo il rione S. Stefano che, unico superstite, conserva il tessuto medievale. In questo settore infatti sono superstiti le uniche due porte urbane delle cinque ricordate dagli antichi documenti, esse sono porta S. Stefano e Porta Romana.