Esplora contenuti correlati

Arte e Cultura

Otto D’Angelo

Nato a Silvella, agreste frazione del Comune di S. Vito di Fagagna, poco distante dall’ampia cerchia morenica dei colli centrali del Friuli.

Le sue origini traggono quindi copiosa linfa dal ceppo contadino friulano, depositario per lunghi secoli della nostra cultura popolare e della lingua friulana.
Otto ha incominciato a dipingere sui muri del granaio di casa, che aveva le pareti bianche e lisce, con colori in polvere, utilizzati per imbiancare le stalle. Erano tratti che nella loro fresca ingenuità dimostravano la precoce vocazione alla pittura del bambino.
Terminati i primi studi, Otto D’Angelo andava interrogando se stesso sul proprio avvenire. Per lui era abbastanza chiaro quello che avrebbe dovuto fare, ma le possibilità erano quelle che erano.

Infuriava la seconda guerra mondiale, che avrebbe sconvolto negli ultimi anni anche il Friuli. L’Accademia di Venezia rimase un semplice miraggio, un ideale lontano e inattingibile. Eppure bisognava curare la propria preparazione tecnica e culturale per poter essere un vero artista.

Fu così che Otto D’Angelo con i colleghi di Silvella, Mario e Valentino Toniutti, prese la strada di Udine, dove insieme con loro un altro gruppo di amanti della tavolozza diede vita a uno studio di pittura. Questo studio si rivelò importante per lo scambio di esperienze tra i venti pittori che animavano il promettente cenacolo e per un affinamento delle rispettive produzioni.

Otto e gli amici frequentavano pure lo studio del Prof. Fred Pittino, già assurto a meritata fama. Con questa preparazione e con altri studi, non senza sacrifici, Otto conseguì il diploma di artista decoratore. Era un titolo che gli apriva le porte a varie commissioni, ma che non lo appagava del tutto, sebbene costituisse un discreto traguardo professionale.

L’arte di Otto che dipingeva generalmente solo ad acquarello e disegnava al tratto, si ispirava a canoni impressionisti per lo stile e a soggetti tratti dal mondo in cui viveva per l’argomento.
Si possono tuttora ammirare di quel periodo nature morte: semplici zucche variopinte, cachi, mele, utensili di cucina; animali che ruminano nella penembra calda delle stalle; uomini e donne dei campi, vigorosi nel portamento e dimessi nell’abito rusticale; fanciulli che giocano e si divertono senza complicazioni all’aria aperta.
Altri quadri si riferiscono al paesaggio, con vedute che colgono il paese e la campagna di Silvella e di S. Vito di Fagagna, e a una galleria di saporosi ritratti. Non ci sono astrazioni nella pittura di D’Angelo. E’ la realtà circostante che viene colta, insieme con il multiplo variare della luce e delle tonalità cromatiche delle ore del giorno e del fluttuare atmosferico del tempo. E un confluire di tinte e di luminosità con suadente armonizzazione. E’ pittura di ciò che si vede e del momento in cui lo si vede. Da qui tanta sorgiva naturalezza.

I problemi economici incalzano. La guerra è ormai un ricordo doloroso, lasciato alle spalle, mentre si delinea in Europa un avvenire di pace, di ricostruzione, di progresso operoso. All’indomani del conflitto il Friuli, ancora carente di strutture industriali, non offre adeguata occupazione ai suoi figli. Riprende l’emigrazione per l’Estero e per altre contrade d’Italia.

Anche Otto D’Angelo se ne va dalla sua Silvella, confortato da molte speranze. E’ giovane, con un futuro davanti e con una buona formazione. La Francia è il Paese dove approda e Lione è la prima città che lo accoglie. Passa un mese nella capitale del Delfinato, in questa città di tessitori, alla confluenza del Rodano vorticoso e della Saona. Presto però eccolo sulle rive di un fiume maggiormente prestigioso: la Senna.

Parigi, La Ville Lumière, dove la Francia esprime il meglio della sua cultura e della sua arte e della sua storia. Otto D’Angelo trova un lavoro congeniale alle sue ispirazioni. Diventa apprendista-disegnatore a fumetti in una Casa Editrice parigina, la S.A.G. E.

Compaiono i fumetti con il marchio d’origine di Otto dal 1947 al 1959, in una facilità di esiti inventivi con una sequenza di piglio cinematografico. Sono fumetti agili, sempre di buon gusto e di fine disegno, curati fino in fondo, nei quali dinamismo e figura convivono felicemente.

Mentre lavora in qualità di fumettista, Otto D’Angelo continua a studiare pittura e si iscrive all’Accademia Grande Chaumière di Parigi. E’ un perfezionamento necessario per chi disegna a puntate racconti e scene romanzesche, ma anche per chi voglia impadronirsi delle linee cangianti del corpo umano in movimento.
Infatti la modella cambiava di posa ogni cinque minuti al suono di una sveglia.

Otto realizza migliala di schizzi dal vero e si perfeziona in maniera magistrale. Il nudo poi può essere vestito in ogni foggia. Per contratto il nostro artista è obbligato a consegnare ogni mese trenta tavole più la copertina. E’ un lavoro impegnativo e sfibrante, che permette al pittore friulano di acquistare una mano raffinata e veloce nell’elaborazione grafica.

Quanto ai testi, D’Angelo ha validi collaboratori, specialisti nel romanzo a puntate. Gli originali da consegnare alla stampa sono realizzati in china e acqua ed esigono molta abilità nello sfumare con il pennello i tratti.

Otto compone illustrazioni per varie riviste femminili francesi, quali Bolero e Intimité, e per romanzi completi nelle Edizioni Del Duca e tipo Grand Hotel.

In questo campo possiamo osservare che è il primo tra i disegnatori friulani del genere. D’Angelo collabora anche con il giornale sportivo “Trance – Football”, sul quale illustra le partite di calcio della Nazionale e del Campionato di Serie A di Francia.

Il sabato e la domenica Otto si mescolava alla folla di pittori, che si recavano sui bordi della Senna, con i suoi acquarelli per ritrarre qualche angolo famoso di Parigi. Altre volte partiva al mattino per andare nel paese, dove nel pomeriggio avrebbe dovuto disputare con la squadra, la partita di pallone. Nel tempo di attesa faceva un paio di acquarelli sulla zona.

Otto sente in se stesso la passione del calcio e presentemente, quando non dipinge, allena ragazzi e giovani delle squadre di calcio, educandoli a una concezione nobile e umana delle attività sportive.

Un bel giorno il richiamo del Friuli si fa più forte e diventa addirittura irresistibile per il nostro emigrante. Otto decide. Ritornerà nel suo Friuli, senza rimpianti per i suoi anni francesi. Aprirà una nuova attività nella terra dei suoi padri.

Rientra in Italia e apre uno studio pubblicitario a Udine, facendolo funzionare dal 1958 al 1969.

E’ in questo periodo che le sue incisive e popolari etichette rivestono le bottiglie dei vini friulani e che i suoi manifesti creano suggestivi richiami su feste e prodotti, iniziative culturali e commerciali.

Dal 1970 opta unicamente per la pittura. Appare a questo punto in Otto D’Angelo una duplice scelta culturale e, possiamo dire, sentimentale. Da una parte sente un’arte, legata al filone impressionistico, moderna e alla ricerca di soluzioni sempre nuove, dall’altra sente la fedeltà verso un realismo rievocatore della terra dei padri.

Una libertà ampia di soluzioni e di tecniche si unisce a un’operazione di archeologia del costume e della vita friulana di altri tempi. La civiltà contadina, le tanto celebrate radici, vivono nelle foto ingiallite, nei ricordi di famiglia, nelle ruote dei carri, finite a far da lampadari per rustiche trattorie, negli episodi che la gente adulta e matura racconta.

In molti casi il medesimo paesaggio agrario è saltato: desolanti riordini fondiari, siepi e boschetti eliminati, fossati colmati, muraglie distrutte, paludi bonificate, la meccanizzazione agricola. I lenti carri di fieno, trainati dai buoi, il carretto d’erba, che si spingeva anche a mano o tirato dall’asino, il piatto con frittata tenuto nelle quattro punte del tovagliolo annodate, il boccione di vino, la fiaschetta d’acqua sono immagini della memoria.

Ma non solo il lavoro, anche l’allegria di un carnevale, la festa di una sagra, le nozze dei grandi e i giochi dei piccoli, il bagno estivo nel fiume dall’acqua viva appartengono all’età contadina.

Otto D’Angelo vuole soprassedere a una pittura, troppo personalmente sciolta, per capire, descrivere, raccontare, documentare il Friuli dell’infanzia e della giovinezza, quello dei genitori e dei nonni.

Le dimensioni dei quadri si ingigantiscono e la “Furlanie” vi si specchia.

Rinascono dal passato borghi e piazze con i caratteristici stagni d’abbeverata e piazze con porte e torri medioevali e chiese e aie coloniche: un mondo che il secolo ha cancellato e il terremoto disperso. Persino i volti e i corpi e i vestiti della gente hanno un colore diverso e un profilo che si distacca da
quello odierno, non aduso ormai alle antiche fatiche.

Otto illustra ancora dei libri. Sono i poemi della civiltà antica contadina e della storia di un popolo come ne “Les Culines Palides e in Furlanie di CTI”. I momenti della mietitura e della vendemmia, del pascolo e del bucato presso il lavadòr e tanti altri episodi ricorrenti nella esistenza della campagna vengono fatti risorgere e palpitare con un impasto di colori tenui e smaglianti a seconda dell’occasione, sempre ben fusi, graduati, direi respirati. L’anima friulana di Otto D’Angelo trova tutto il suo spazio di creativa felicità.

Suoi maestri d’ispirazione sono Renoir, Manet, Monet, ma anche i macchiaioli toscani, Fattori, Palizzi, Ciardi e il grande rappresentante del divisionismo: Segantini.

Quanto al realismo storico i grandi pittori fiamminghi esercitano il loro influsso nella composizione. I chiaroscuri marcati di luce e ombra richiamano la lezione del Caravaggio.

Tutta la vicenda dell’arte di millenni viene a far parte del suo bagaglio culturale.