Olio di Oliva D.O.P.
Dati sulla produzione
Scandriglia risulta essere, per quantita’ di olio prodotto, al secondo posto dei Comuni della provincia di Rieti, dopo Fara Sabina, con 20.000 quintali di olive raccolte nel 1998, per un corrispondente quantitativo di circa 4.500 quintali d’olio prodotti.
Le varieta’ di ulivi che vengono coltivati a Scandriglia, il “cultivar”, sono per l’80% della qualita’ Carboncella e, per il restante 20%, piante del tipo Frantoio e Leccino.
Densita’ dell’olio
L’olio d’oliva ha un peso specifico pari a 0,91; questo significa che, conoscendo il peso del prodotto, possiamo ottenere la quantita’ equivalente in volume, dividendo semplicemente il peso in chilogrammi per 0,91, ottenendo il corrispondente quantitativo in litri.
La coltivazione dell’ulivo
Durante la primavera, si procede con gli interventi di potatura, la concimazione, spesso effettuata con concimi organici, provenienti dagli allevamenti bovini ed ovini locali e l’aratura. All’inizio della stagione, di solito, vengono piantati i nuovi ulivi.
In estate si procede ad innaffiare le piantine più giovani.
In Autunno si pulisce il terreno circostante le piante di ulivo, per prepararsi alla raccolta con metodi manuali, utilizzando i teli.
Il periodo fine Autunno, Inverno, coincide con l’inizio della raccolta delle olive, eseguita manualmente (brucatura), utilizzando anche pettini o pinze, sempre a mano, raccogliendo poi le olive dai teli.
L’ulivo selvatico
In localita’ Montecalvo, possiamo trovare una specie spontanea e selvatica di ulivo, chiamata in dialetto “Livago”. Tutto questo a testimonianza che il nostro territorio è l’habitat naturale di questa pianta, come del resto ne veniva consigliata la coltivazione dagli agronomi dell’antica famiglia senatoriale degli “Scandillii”, in epoca romana, proprietari di queste terre, che probabilmente diedero origine all’attuale nome di Scandriglia.
Le olive raccolte da questa pianta sono più piccole di quelle ottenute da altre qualita’ , la resa dell’olio è inferiore, ma l’extravergine ottenuto è il migliore e, come tutto l’olio prodotto a Scandriglia, non teme confronti.
Sistemi di assaggio
L’olio d’oliva è l’unico prodotto che va sottoposto, per essere messo in commercio, non soltanto ad analisi chimiche, che peraltro sono in grado di stabilirne con certezza la provenienza, ma anche ad esami organolettici, fatti cioè utilizzando il senso del gusto e dell’olfatto.
Per essere definito extra vergine, l’olio d’oliva deve avere un grado di acidit? inferiore all’1%; l’olio che si produce a Scandriglia, pensate, ha valori di acidit? pari allo 0,1 ¸ 0,2%, praticamente nulla! Il regolamento CEE n.2568/91, con l’allegato XII stabilisce i parametri ed i criteri per l’analisi di legge. Utilizzando un particolare sistema per l’analisi con un gruppo di assaggiatori (Panel Test) l’extra vergine, per essere considerato tale, deve ottenere un punteggio non inferiore a 6,5 (per un valore massimo pari a 9), risultando entro parametri positivi quali il fruttato (profumo) di oliva o altra frutta e l’eventuale gusto amaro, tipico dell’olio appena prodotto (e della qualita’ “carboncella”), stando al di fuori di caratteristiche negative quali il sapore metallico, di muffa o umidit? , morchia, riscaldato o rancido.
Grazie ai nuovissimi frantoi, questo problema a Scandriglia comunque non sussiste: i produttori riescono a raccogliere e macinare il frutto immediatamente, eliminando i tempi di immagazzinamento del prodotto.
Metodi di raccolta e produzione
“A raccapezza’ ”
Decenni fa, i grandi appezzamenti di terreno, coltivati e boschivi, erano appannaggio esclusivo, o quasi, delle famiglie più in vista del paese, principali proprietarie terriere.
La maggior parte della popolazione, con l’eccezione dei pochi che svolgevano un’attivita’ in proprio, come gli artigiani, “botteganti” o allevatori di bestiame e pastori, fornivano la forza lavoro necessaria per tutte le attivit? agricole principali e quindi anche per la raccolta delle olive, ricevendo spesso “pagamenti in natura”.
I braccianti venivano controllati dagli uomini di fiducia dei signori, i fattori o “guardiani”; la raccolta avveniva con le “panare”, cesti di vimini intrecciati e con una scala di legno. Riempiti i contenitori, le olive venivano raccolte nei sacchi di iuta dallo “sbuitatore”, di solito un ragazzo, che aveva il compito di sistemare i sacchi e caricarli sulle bestie da soma che avrebbero trasportato il raccolto nei magazzini.
Finito il campo, ai bordi c’era sempre una folla di donne del paese, di tutte le eta’ , spesso con i bambini al seguito, a volte ancora nei fasciatoi. Queste donne, terminata la raccolta degli operai entravano nel campo e raccoglievano le olive non viste e lasciate indietro, cadute o dimenticate. Era l’unica possibilit? , per molte famiglie, di ottenere una piccola scorta del prezioso alimento e sicuramente fa capire come dietro l’accortezza e la parsimonia delle famiglie contadine ci sia spesso dolore e sofferenza, legato all’apprezzamento del poco che si riusciva ad avere per vivere.
Durante questa raccolta particolare, le donne spesso stavano in una lunga fila, intonando i canti di allora, nonostante potevano essere oggetto di insulti da parte del “guardiano” nel caso avessero iniziato quando i contadini non fossero ancora usciti dal terreno.
Durante la pausa per il pasto e per scaldarsi, spesso venivano abbrustoliti chicchi di “liva bona” o “fiecciaru”, olive dal sapore particolarmente gradevole e non amare, come forse certi aspetti della vita, anche per questo più apprezzata nei suoi lati positivi.
Sistemi attuali
I sistemi attuali di raccolta non si discostano di molto da quelli descritti; oggi si sale ancora sulle piante con scale di legno e le olive vengono fatte cadere a mano, con appositi pettini o pinze con piccoli rulli, su teli appositamente stesi sotto gli ulivi, raccogliendole nelle cassette per il trasporto. A volte si utilizzano ancora le “panare”, nei punti particolarmente scomodi, dove è più complicato stendere i teli.
Usi dell’olio
Oltre al principale uso alimentare, l’olio veniva utilizzato anche per l’illuminazione con lampade (“lume” o “linterna”) oppure con le “luminelle”, che erano stoppini particolari, realizzati anche intrecciando il cotone usato per lavorare le calze, sorretti da basi di sughero che galleggiavano nei bicchieri con l’olio. Riscaldato si usava per curare il mal di orecchi, oppure per conservare i cibi, come salsicce e braciole di maiale. Poteva essere usato per ungere i capelli, “sbattuto” con l’aceto per lucidare i mobili durante le pulizie di Pasqua, mischiato con l’acqua per lenire il dolore di scottature e screpolature della pelle, per far scorrere ago e filo durante le operazioni … chirurgiche sui maialini. Un uso tipico era quello legato agli scambi, come per esempio un “bocale” (unit? di misura corrispondente a due litri) in cambio di una “coppa” (venti chili circa) di patate, ma anche per castagne o fagioli dai paesi limitrofi.
Anche l’olio ormai troppo vecchio veniva recuperato, utilizzandolo nella preparazione del sapone fatto in casa, insieme alla “potrassa” (soda caustica), pece greca, grasso animale e sale