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Nel Giorno della Memoria il ricordo del campo di concentramento e dell’eccidio nazista

26 Gennaio 2016

campo concentramento Sparanise

A proposito del 27 gennaio e del “Giorno della Memoria”, anche l’ISISS Galilei di Sparanise celebra l’evento con il ricordo, doveroso, di due indimenticabili momenti della recente storia cittadina: il campo di concentramento tedesco di Sparanise e le 39 vittime civili dell’eccidio nazista del 22 ottobre 1943. Martedì 27 gennaio, infatti , a partire dalle ore 11, nell’aula magna della scuola, si terrà un interessante convegno su di una triste pagina di storia locale: il campo di concentramento tedesco e l’eccidio nazista. Il convegno cui parteciparanno gli alunni delle classi quarte e quinte, sarà introdotto da una relazione del Preside Paolo Mesolella che sull’argomento ha pubblicato due libri: “Ricordi e testimonianze del campo di Concentramento tedesco di Sparanise” e “La guerra addosso” edizioni Spring di Caserta. Itedeschi, infatti, hanno rinchiuso migliaia di militari e civili, anche a Sparanise, a pochi chilometri dalla scuola. Un campo dove sono passati migliaia di deportati, provenienti dal Casertano e dal Napoletano, molti dei quali di passaggio prima di essere inviati ai campi di lavoro in Germania. E dove si poteva anche morire, uccisi dalle sentinelle tedesche in caso di fuga. Scotto di Vetta Pietro di Bacoli, per esempio, il 25 settembre 43 nel campo sparanisano vide uccidere sotto i suoi occhi tre compagni. Ciro Cirillo, già Presidente della Regione Campania, ne vide uccedere in quello stesso mese altri due. Il campo, nacque il 14 settembre 1943, su un deposito militare inglese costruito tre anni prima, ma sequestrato dai tedeschi all’indomani dell’armistizio con lo scopo di radunare uomini per fortificare Cassino ed inviare i più validi ai campi di lavoro. Per non perdere la memoria e ricordare che la violenza nazista ha colpito anche le nostre terre gli alunni delle classi terze della scuola Media “Martone”, accompagnati dal preside Paolo Mesolella, autore del libro “La guerra addosso”, e dalle professoresse Giovanna Caimano e Teresa Lagnese, hanno visitato quei luoghi. “Quando arrivai nel campo di concentramento di Sparanise, scrive il prof. Giovanni Spera, era il 23 ottobre 43 e c’erano già 5000 prigionieri. Reticolati e cavalli di frisia recintavano il perimetro del campo, sorvegliato da un nutrito numero di sentinelle che impedivano eventuali tentativi di fuga. Non c’erano cucine da campo, né una fontana per attingervi acqua. Non esistevano servizi igienici, per cui ognuno andava a soddisfare i propri bisogni fisiologici lungo il perimetro del campo. Il fetore era insopportabile, l’aria pestifera. Il senso del pudore era scomparso, essendo costretti a soddisfare i propri bisogni all’aria aperta ed alla vista di tutti. Uno spettacolo veramente degradante e vergognoso. Eravamo ridotti a livello delle bestie, con la biancheria intima sporca e maleodorante, la barba non rasa da giorni ed i pidocchi che infestavano ogni parte del corpo. Ricordo il povero Umberto Robustelli, merciaio, vestito di un leggerissimo pigiama estivo, con ai piedi un paio di pantofole di stoffa. In quelle condizioni era stato catturato. Ricordo poi la ressa che si scatenò intorno al camion che trasportava il pane, sufficiente soltanto per un decimo dei prigionieri: un maresciallo tedesco, sulla quarantina, armato di bastone, colpiva alla cieca, con violenza estrema, chi gli capitava a tiro, allo scopo di arginare quella marea umana. Ricordo anche una furibonda rissa, scoppiata al centro del campo, quando un prigioniero per essersi allontanato dal posto, ebbe l’amara sorpresa di non trovare, al ritorno, il suo pezzo di pane, perché qualcuno glielo aveva portato via. Successe il finimondo. Aggredì con selvaggia furia tutti i vicini. Ricordo poi le donne di Sparanise che sostavano lungo il viottolo adiacente al campo, distribuendo qualcosa da mangiare ai prigionieri che tendevano le mani oltre i reticolati. Ricordo una miriade di mani tese, ma riuscire ad afferrare qualcosa, era un’impresa disperata, a causa della calca che li schiacciava contro il filo spinato.