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I resti degli acquedotti

Nel territorio tiburtino, fra Tivoli e Castel Madama, convergono i quattro acquedotti provenienti dalla valle dell’Aniene, c.d. aniensi, costruiti fra il III sec. a.C. e il I d.C. (Anio vetus 272-270 a.C., Aqua Marcia 144-140 a.C., Aqua Claudia e Anio novus 30-52 d.C.), le cui monumentabili rovine attraversano il paesaggio, quali predominanti soggetti di opere d’arte conosciute in tutto il mondo.

Nel III secolo a. C. si realizzò l’Anio Vetus, il secondo acquedotto romano, dopo l’Appio, ma il primo che utilizzò le acque del fiume Aniene. Viaggiava in gran parte sotto la superficie, a partire dal 29° miglio della via Tiburtina Valeria (nel tratto di fiume sotto il convento dei Frati Francescani di San Cosimato) giungendo a Roma presso la Porta Maggiore, nel punto in cui confluivano ben 4 acquedotti.

Fu denominato “vecchio” solo quando, secoli dopo, fu costruito il parallelo Anio Novus

Venne restaurato più volte, anche all’epoca dell’Imperatore Adriano, a cui risale la costruzione del famoso Ponte della Mola di San Gregorio da Sassola.

L’acquedotto dell’Aqua Marcia costeggiava la sponda sinistra dell’Aniene fino a Castel Madama, attraversava il Fosso di Empiglione agli Arci quindi piegava verso Tivoli cedendo parte della sua acqua alla città. Da qui si dirigeva verso Gallicano Nel Lazio, risalendo i profondi valloni della zona attraverso i ponti. Quest’acqua, celebrata da Plinio il Vecchio quale dono degli dei all’Urbe, fu condotta a Roma, a causa dell’incremento demografico, nel II secolo a. C. da Quinto Marcio Re.

Sul ponte che si trova nei pressi degli Arci, l’Aqua Marcia attraversa il fosso di Empiglione insieme alle arcate dell’Anio Novus in quella che a partire VIII secolo d. C., con l’aggiunta della torretta medievale, divenne Porta Adriana, elemento difensivo della città medievale, chiamata così in memoria del papa Adriano che fece restaurare l’acquedotto. 

Le imponenti arcate dell’Acquedotto Anio Novus, detto “nuovo” per distinguerlo dall’Anio vetus, iniziato dall’imperatore Caligola nel 38 d.C. e terminato da Claudio nel 52, partivano dai monti Simbruini; dopo aver ricevuto la purissima sorgente Erculanea al 38° miglio e aver superato la villa di Nerone a Subiaco, dove l’Aniene si decantava, proseguivano nella “Valle degli Acquedotti”. Presso gli Arci l’acquedotto si scinde in due rami: uno corre in direzione di Tivoli, l’altro invece devia a Sud, fino ad inoltrarsi sotto colle Castello. 

Anche l’Aqua Claudia captava le ottime sorgenti sulla via Sublacense, presso Agosta e Marano. Secondo Frontino il “magnificentissimo” acquedotto era lungo 46 miglia. Il corso è sostanzialmente quello della Marcia, per cui vari ponti si conservano presso Castel Madama e Gallicano Nel Lazio.