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Storia

Visco, il cui nome si fa derivare dallo slavo visek (sommità), al limite nord della Bassa friulana, è un paese piccolissimo di appena 3,52 kmq e una popolazione di circa 700 unità (684 unità: 323 maschi e 361 femmine, 265 famiglie al 31.12.99).

Testimonianze di presenza umana attiva risalgono a più di 3800 anni fa ma il più antico cenno all’attuale paese di Visco – che fino al cinquecento inoltrato veniva chiamato indifferentemente Visco e Viscon – risale al 1154 quando viene ricordato il Vicarius Oliverius.

Durante il periodo patriarcale, Visco con Joannis, Campolongo, S. Vito al Torre e Nogaredo rimase feudo dei Patriarchi di Aquileia, dipendendo dalla Gastaldia di Aiello.
Il 1420 segna la fine del potere temporale dei Patriarchi di Aquileia e il 1500 la fine dei Conti di Gorizia con il passaggio del Friuli Orientale all’Impero Austriaco. Visco continuò ad essere paese di confine, un confine dell’Impero che, salvo parentesi, sarebbe durato quattrocento anni.

Nel 1570 fu sanzionato il distacco di Visco dalla pieve di Aiello ed il suo riconoscimento di pieve autonoma: il paese contava allora circa 220 anime da comunione (in totale poco più di 300) e la pieve aveva sotto la sua giurisdizione le ville di Cavenzano e Campolongo (in territorio veneto) e quella di Joannis.

Il Seicento si aprì con la guerra tra Venezia e l’Austria (1615-1617); la zona di confine, qual era quella di Visco ebbe a soffrirne. La guerra aveva provocato gravi danni alle campagne e ai villaggi tra Palmanova e l’Isonzo senza portare mutamenti territoriali.

Per Venezia era stata la riconferma del suo predominio sull’Adriatico e la fine del pericolo dei pirati Uscocchi, dalle scorrerie dei quali – almeno formalmente – la guerra era iniziata.
I nuovi principi favorirono il territorio con esenzioni e ci fu una ripresa edilizia con la costruzione di numerose e importanti chiese: Aiello, Romans d’Isonzo, Villa Vicentina, Visco, Tapogliano, Versa. Tuttavia, a Visco, il Seicento è anche caratterizzato da episodi di violenza che uno Stato non ancora moderatamente strutturato e la vicinanza dei confini non facevano che esaltare.

Di rilievo, la costruzione della cappella della Beata Vergine Lauretana voluta da Marco Foscolini a seguito di un voto per essersi salvato dal vaiolo e la consacrazione, nel 1685, della chiesa parrocchiale di S. Maria Maggiore dove oggi è possibile ammirare il fastoso interno ad unica navata in cui spiccano lo scenografico Altare Maggiore eseguito tra il 1738 ed il 1750 dallo scultore gradiscano Paolino Zuliani e la Pala della Madonna con Bambino attribuita ad Alessandro Varotari detto il Padovanino.

Il Settecento fu un’epoca d’oro per la Parrocchia di Visco: il comune diventa sede di vicariato foraneo, a seguito della soppressione, per ragioni di ordine ecclesiastico e politico, del Patriarcato di Aquileia (1751) e la erezione dell’Arcidiocesi di Gorizia. Il paese diventa anche punto di passaggio con una stazione postale, una muda stradale e la dogana con tanto di guardie per vegliare contro il contrabbando.

Dopo la Rivoluzione Francese (1789), l’arrivo dell’esercito napoleonico con tutto il suo corollario di violenze, spoliazioni di effetti preziosi nelle chiese, violazione di edifici di culto, imposizioni viene esecrato come un flagello biblico. Ma la presenza napoleonica – che cesserà con la caduta di Napoleone e la pace di Parigi del 1814 – portò utili novità in campo amministrativo, istituendo anche il primo sistema scolastico capillarmente diffuso. Visco viene così a trovarsi nuovamente nel Regno Illirico; verso Ovest si andava nel Lombardo-Veneto.

Durante le guerre risorgimentali, qui si svolsero due tristi fatti d’arme: il 17 aprile 1848 fra le truppe degli insorti di Palmanova e gli Austriaci con l’incendio da parte delle truppe imperiali di ben quattro quinti delle case del paese ed il 24 luglio 1866 tra un mezzo plotone di lancieri di Firenze e degli ussari austriaci che riportò il confine di Visco ad essere da interno a internazionale.

Negli anni successivi al ‘48, gli abitanti (circa 700) furono in grado di realizzare due nuove chiese: La Cappella di Ognissanti in cimitero (1848) e la chiesetta di Sant’Anna (1867), luogo di particolare devozione da parte delle donne vischesi in attesa di un bambino, realizzata su progetto di Giuseppe Sartori, vi si conserva un dipinto di Pietro Bainville: S. Anna, la Madonna con Bambino, S. Giuseppe e S. Gioacchino.

Nel 1871, venne costruita la dogana e, successivamente, un’osteria – l’attuale “Al Vecchio Confine” – di certo attirata dal traffico e dal contrabbando che andò fiorendo e migliorò le condizioni di tanta gente. Intanto alle porte dell’Impero – dalla parte italiana – ferveva l’attività al fine dell’unione dei territori italiani del Regno.

La Prima Guerra Mondiale a Visco è stata vissuta ovviamente dalla parte austriaca. Il 24 maggio 1915 le truppe italiane entrarono nel paese; la popolazione rimase calma, non si comportò con ostilità nei confronti dei nuovi venuti. Nei mesi successivi, il paese fu un al centro di un intenso movimento di retrovie, soprattutto dal punto di vista sanitario: c’erano almeno cinque ospedali.

Nel 1917 arrivarono i giorni di Caporetto: da quel dolore nacque Borgo Piave creato da 400 profughi di paesi lungo il fiume dell’altro fronte accolti in venti baracche di un ospedale militare. Nel cimitero militare del paese vennero seppelliti un migliaio di italiano e poco meno di ottanta austro-ungarici. Il comune ha voluto ricordare questo luogo erigendo un monumento (dell’arch. Ivo Scagliarini) a memoria di quanti iniziarono anzitempo il sonno eterno: il portone originale del cimitero aperto sulla piramide, simbolo di immortalità: la croce di Aquileia che alla passione unisce la visione missionaria di San Paolino come incontro con gli altri e la scritta latina: In bello hostes, in morte fratres, hic requiebant in pace (Nemici in guerra, fratelli nella morte, qui riposarono in pace).

Gli anni Trenta vedono lo smantellamento del cimitero militare: la maggioranza delle salme degli italiani continuerà il suo riposo nel sacrario di Redipuglia, quelle degli austro-ungarici probabilmente furono trasportate accanto ai loro compagni in cimiteri già esistenti e non distanti. Nuovi cimiteri si stavano annunciando con le guerre di Etiopia e di Spagna: nella caserma deposito di Borgo Piave si pulivano i bossoli e si fabbricava filo spinato.

Il 10 giugno 1940 scoppia la guerra: La Seconda Guerra Mondiale viene qui ricordata per l’ordine, arrivato nel dicembre del 1942, di costruire un campo d’internamento in grado di ospitare circa 10.000 persone (ma non più di 4.000 vi soggiornarono, venticinque delle quali morirono).
Una lapide, sulle mura esterne della Cappella di Ognissanti nel cimitero del paese, raffigura una croce con la corona di spine e ricorda l’ingiustizia sofferta dagli internati civili dell’Ex Jugoslavia morti nel campo di concentramento tra il febbraio e il settembre del 1943.

La liberazione coincide con il primo maggio 1945: le autoblindo inglesi vengono accolte con i fiori di maggio e con un fiasco di bianco. Il 2 giugno 1946 si vota per il referendum: le donne partecipano per la prima volta ad un appuntamento elettorale; i risultati vedono prevalere la Repubblica (274 suffragi) sulla Monarchia (149).

La presenza militare in paese dal dopoguerra al 1996 – con la chiusura della caserma “Luigi Sbaiz” – fu di aiuto per le finanze comunali. I rapporti tra i vischesi e i militari erano ottimi e intensi a misurare dal numero di matrimoni.

Due guerre mondiali, un cambiamento di Stato (dall’Austria all’Italia), il mutamento istituzionale (dalla monarchia alla repubblica), il passaggio dalla provincia di Gorizia a quella di Udine sono le vicende di questo secolo che hanno coinvolto il paese in maniera forte toccando pesantemente l’identità degli abitanti.
Ricordando l’impegno e lo spirito delle persone che a Visco hanno vissuto e lavorato, il comune si proietta nel nuovo millennio a memoria delle presenti e delle future generazioni.

(da: F. Tassin, Sul confine dell’Impero, Comune di Visco, 1998).